Roma La piazza sovranista divide il centrodestra e Silvio Berlusconi risponde alle accuse di Giorgia Meloni a Forza Italia, per non aver partecipato alla manifestazione di lunedì davanti a Montecitorio. Mai detto che FdI e Lega sono «fuori dalla porta del centrodestra», smentisce il leader azzurro. Anzi, si fa ogni sforzo per tenere unita la coalizione ed «includervi i movimenti di destra», in ultimo con la proposta di un tavolo comune per concertare l'opposizione al governo Pd-M5S-Leu. Peraltro, rimasta senza risposta.
Il Cavaliere è seccato, si capisce dai toni, sottolinea che Fi per tenere insieme l'alleanza ha anche pagato «un prezzo politico alto in termini di visibilità e di consenso», semmai altri non l'hanno fatto. «Non ho reagito - dice - ad alcuna provocazione». L'occasione per ritrovarsi può essere il comune avversario di governo «che nasce dalla fusione di tre diverse sinistre, con un programma di estrema sinistra».
L'opposizione pacata e responsabile annunciata da Berlusconi e dai suoi si distingue, però, dai toni urlati e dai gesti forti scelti da Matteo Salvini e dalla Meloni, cui si è aggiunto in piazza Giovanni Toti, uscito da Fi. E questo da fastidio agli alleati, che peraltro marcano così la distanza dal loro polo sovranista. Tra gli azzurri qualche divisione sulla scelta c'era e Mariastella Gelmini ha sottolineato che se si fosse deciso insieme quella strada sarebbe stato diverso. Mara Carfagna ora dice chiaro: «Io capisco quella piazza, che ha espresso sconcerto per un governo che non rappresenta la maggioranza degli italiani. Ma non era la nostra piazza. La protesta non è mai stata nel dna di Fi, fatta eccezione per la manifestazione contro la finanziaria del governo Prodi nel dicembre 2006 che metteva le mani nelle tasche dei cittadini. Detto questo, se avessimo mandato una delegazione in rappresentanza del partito, credo che non avremmo sbagliato».
Gli azzurri vogliono spiegare bene che comunque non faranno sconti al governo, anche per smentire le insistenti voci su una quindicina di parlamentari che sarebbero pronti a seguire Matteo Renzi, se fondasse un suo partito o comunque un gruppo parlamentare alla Camera. Tentazione che nascerebbe proprio dall'insofferenza per la linea troppo di destra di Salvini e Meloni e dalla voglia di centro.
Nell'aula del Senato Licia Ronzulli, fedelissima del Cav, regala a dem e grillini «un lucchetto che sostituisce l'apriscatole con cui dovevate scardinare le istituzioni. Invece vi siete asserragliati dentro, vi siete blindati». Poi aggiunge il tonno, mostrando un barattolo all'emiciclo, «perché l'appetito vien mangiando, anche quello del potere. Poi c'è la colla, che vi tiene tutti attaccati alle poltrone e che è il vero comune denominatore della maggioranza Pd-M5s e infine c'è lo scotch che è lo strumento fragile che tiene insieme due partiti e la maggioranza». L'azzurro Marco Perosino prega San Francesco, Santa Caterina e Padre Pio «di proteggere l'Italia alla quale servono ordine e sicurezza», perché il pericolo è «l'Apocalisse». Fi, come il giorno prima alla Camera, vota compatta contro il governo Conte bis che, dice Roberto Berardi, ha «un programma di sinistra senza i numeri».
In Fi si tira comunque un sospiro di sollievo per le elezioni mancate, che danno il tempo di riorganizzarsi. Berlusconi con Salvini è stato duro nel suo incontro con i parlamentari a Montecitorio, ma insiste sulla necessità di tenere in vita la coalizione mentre dal leader leghista arriva un'apertura ad una riedizione dell'asse: «Il rapporto con Berlusconi non l'ho mai interrotto, lo vedrò a breve.
Se il programma è comune e condiviso, io non dico no a nessuno. L'importante sono i temi fondamentali come le tasse, il lavoro, e l'Europa. Chi sono io per dire no. Se c'è una idea di Italia comune, figurarsi» dice il leader della Lega ospite di «Porta a Porta».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.