Gli immigrati sono più mobili, nel senso che sono disposti a trasferirsi per lavorare, pagano i contributi fin da giovani e, soprattutto, vivono in media meno degli italiani. Quindi sono preziosi per il sistema previdenziale italiano.
Questa in sintesi la tesi di Tito Boeri che ieri ha presentato il rapporto annuale dell'istituto nazionale di previdenza sociale. Chiudendo le frontiere, secondo il presidente dell'Inps, rischieremmo di «distruggere il sistema di protezione sociale».
Se si azzerassero i flussi di contribuenti stranieri, nel 2040 ci sarebbero «73 miliardi in meno di entrate contributive e 35 miliardi in meno di prestazioni sociali destinate a immigrati, con un saldo netto negativo di 38 miliardi per le casse dell'Inps». Praticamente «una manovrina» da rinnovare ogni anno.
Vero che un ingresso indiscriminato può provocare la competizione tra stranieri e «persone a basso reddito nell'accesso a servizi sociali» e «nel mercato del lavoro». Ma «oggi gli immigrati offrono un contributo molto importante al finanziamento del nostro sistema di protezione sociale e questa loro funzione è destinata a crescere nei prossimi decenni» per compensare l'uscita di lavoratori autonomi dal sistema previdenziale.
I lavoratori stranieri secondo Boeri hanno caratteristiche positive. Intanto gli immigrati che arrivano da noi sono «sempre più giovani: la quota degli under 25 che cominciano a contribuire all'Inps è passata dal 27,5 per cento del 1996 al 35 del 2015, corrispondenti a 150 mila contribuenti in più ogni anno». Compensano il calo demografico.
Sono «molto più mobili sul territorio dei lavoratori nativi». Analisi che non convince il presidente del Movimento cristiano lavoratori Carlo Costalli. La mobilità «è il segno che le cose non vanno. Sicurezza, stabilità, famiglia tutti miraggi».
Poi gli immigrati hanno un'altra caratteristica positiva, da punto di vista dei calcoli previdenziali. Vero che la maggior parte maturerà la pensione dal 2060, osserva lo stesso Boeri, quindi oltre l'orizzonte considerato dalla simulazione. Ma molti «lasciano il nostro Paese prima di maturare i requisiti contributivi» quindi, di fatto, ci regalano i loro contributi per un punto di Pil. Quindi 16 miliardi di euro. Poi sono quasi tutti contributivi.
Infine «i nostri dati ci dicono che gli immigrati ad oggi in Italia hanno una speranza di vita più breve di quella utilizzata per definire ammontare e durata delle pensioni». Quindi «pagano molto più di quanto ricevono». Muoiono prima degli italiani.
Clienti perfetti dell'Inps, insomma. A differenza degli italiani, che si muovono meno e vivono di più, magari con una pensione retributiva.
Per il resto l'economista ha sottolineato il ruolo Inps, sempre più pubblico, sempre meno istituto dei lavoratori privati. E si è spinto a proporre di cambiare il nome in Istituto Nazionale della protezione sociale. «Sono 440 le prestazioni oggi erogate dall'istituto, di cui solo 150 di natura previdenziale».
Polemiche a distanza con i sindacati. Impossibile separare l'assistenza dalla previdenza, se non prevedendo un ricalcolo delle pensioni in essere con il metodo contributivo. In sostanza, tagliando del 30 per cento gli assegni di molti dei pensionati di oggi. Poi «no» a un blocco dell'adeguamento dell'età pensionabile alle aspettative di vita, se non si vogliono penalizzare i giovani.
Ma la
stilettata è arrivata sul «tasso di sindacalizzazione» delle grandi aziende. All'Inps risulta il 25 per cento, i sindacati dichiarano il 40 per cento. In altre parole un 15 per cento degli iscritti ai sindacati sarebbe fasullo.
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