Londra Quest'accordo non s'ha da fare, parola del Parlamento britannico. Le sconfitte iniziano a pesare anche sul volto della resiliente Theresa May che iera sera si è vista bocciare per la seconda volta, 391 voti contro 242 (ne sono mancati 149), l'accordo sottoscritto con l'Unione Europea nonostante le due aggiunte, «legalmente vincolanti» sul backstop, concordate all'ultimo minuto. «Mi spiace profondamente - ha detto la premier afona, provata dalla maratona negoziale -. Domani (oggi, ndr) si vota sul no deal. I deputati devono decidere se vogliono la revoca dell'Articolo 50 oppure un secondo referendum». Corbyn le risponde: «La Camera deve mettersi insieme attorno a una proposta. Noi porteremo avanti il nostro progetto. Ma dovremmo avere elezioni generali».
Forse la notte prima, quando in tutta fretta era ripartita per Strasburgo, la premier sperava veramente di riportare a casa cambiamenti che le avrebbero consentito di convincere anche i più scettici della bontà del suo accordo. Alle undici di sera lei e il presidente Jean-Claude Juncker si erano presentati ai giornalisti per spiegare quelle nuove condizioni che garantivano al Regno Unito di non rimanere intrappolato a vita nella situazione di backstop. L'entusiasmo di May e Juncker non è stato tuttavia condiviso. Ieri pomeriggio, fuori dal Parlamento le bandiere blu a stelle dell'Unione Europea erano tante, nonostante gli scrosci di pioggia. All'interno una premier stanchissima, inappuntabile nel tailleur rosso fuoco, la voce arrochita dalle ore di discussione degli ultimi giorni, ha invitato il Parlamento a sostenerla, a meno che non si voglia del tutto rinunciare alla Brexit. «Questo è il momento di votare compatti e provare al di sopra di ogni dubbio che la democrazia viene prima dei partiti, delle fazioni e delle ambizioni personali ha detto May mentre il marito Philip l'ascoltava nella galleria destinata al pubblico Non possiamo servire il nostro Paese ribaltando una decisione presa democraticamente dal nostro popolo. E se stasera questa mozione non passa, la Brexit rischia di essere completamente perduta». Una frase che non è bastata a persuadere i critici dell'accordo, una fronda trasversale che va dai laburisti, ai dissidenti conservatori fino ai Democratici Unionisti e ai Liberaldemocratici.
Una grande responsabilità nella sconfitta l'ha certamente avuta il parere legale del Procuratore Generale Jeremy Cox che, per la seconda volta, ha dichiarato le due aggiunte all'accordo legalmente non sufficienti a evitare che il backstop diventi una situazione stabile e duratura. «Dopo tre mesi, non una singola parola dell'accordo è cambiata ha dichiarato anche il leader laburista Corbyn è lo stesso pessimo accordo bocciato in gennaio e che mette a rischio la qualità di vita della gente, i posti di lavoro e il servizio sanitario nazionale. Nel frattempo su twitter il negoziatore europeo per la Brexit Michael Barnier sottolineava che, in assenza di accordi, la Gran Bretagna non potrà beneficiare di quel periodo di transizione stabilito dal 29 marzo fino al 31 dicembre 2020. Si andrebbe quindi incontro a una hard Brexit, un'uscita disordinata dall'Europa senza paracadute.
Un concetto ribadito subito dopo la bocciatura: «I nostri preparativi per il no-deal sono più importanti che mai», ha insistito Barnier, pur ammettendo che «la Ue è pronta a valutare una richiesta ragionata di rinvio».In tempi normali dopo una serie di sconfitte così cocenti, qualsiasi primo ministro sarebbe costretto a dimettersi. Ma questi non sono tempi normali e nessuno in questo momento vuole davvero il posto della signora May.
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