Ancora non si conosce il numero dei passeggeri non ufficiali del traghetto andato a fuoco al largo delle coste albanesi, ma per chi opera nel settore della sicurezza dei porti non è una sorpresa. È il porto il cancello di accesso più facile da aggirare. E i dati aggiornati forniti dalla polizia di frontiera marittima italiana al Giornale lo confermano: nel 2014 sono stati fermati 2420 clandestini che avevano viaggiato nascosti nelle stive delle navi e addirittura in possesso, a volte, di regolare biglietto, anche in prima classe. La media è di duecento al mese. Altri 1124 sono stati respinti verso il porto di provenienza: in questo caso arrivavano da un Paese dell'Unione Europea come la Grecia. Quattrocentoventotto persone sono state arrestate con l'accusa di traffico di stupefacenti e contrabbando. Questo modo di viaggiare «ci costa meno del gommone», hanno tristemente ironizzato undici profughi siriani fermati al porto di Bari tre settimane fa, in possesso di regolare biglietto.
Ma i numeri potrebbero essere molto più alti. Sono i primi segnali di una nuova via utilizzata dalla criminalità, che smercia senza autorizzazioni e mette in vendita posti-mare non solo con il canale dei pescherecci carichi di clandestini. Con un rischio segnalato da alcune associazioni di categoria dell'agroalimentare, come la Coldiretti: occorre vigilare che non siano importati e immessi nel mercato italiano come Doc prodotti come l'olio vergine d'oliva, la cui produzione è calata di oltre il 35% nell'ultimo anno e che rappresenta un possibile terreno fertile per «tentativi di spacciare come Made in Italy quello che non è». E sul traghetto incendiato c'erano un'ottantina di camion carichi d'olio.
La via del Mediterraneo è un buco nero in cui si nasconde un pericolo ancora più grande: proprio il canale marino è utilizzato con sempre più frequenza dai terroristi per raggiungere i combattenti dell'Isis e unirsi alla guerra contro l'Occidente. Il numero uno dell'Interpol, l'americano Ronald Noble, ha lanciato l'allarme alcune settimane fa, diramando un appello ai Paesi del Mediterraneo e alle compagnie di navigazione perché siano rafforzati i controlli: «Il fenomeno - ha spiegato Noble all'assemblea annuale dell'organizzazione delle forze dell'ordine internazionali - è legato al fatto che oramai i controlli negli aeroporti sono difficili da superare per i cosiddetti foreign fighter che vogliono aggregarsi alle forze del califfo al Baghdad. Soprattutto in seguito alla stretta messa in atto dalle autorità turche».
Gli aspiranti jihadisti hanno trovato quindi un modo molto più semplice per raggiungere i territori di battaglia. L'Interpol ha in possesso «prove concrete che persone sospette, soprattutto in Europa, stanno viaggiando su questo tipo di navi, avendo principalmente come meta la città di Izmit e altri porti della Turchia». Il fenomeno sarebbe cresciuto a dismisura negli ultimi cinque mesi.
Viaggiare nella stiva di una nave, in condizioni di pericolo forse non inferiori a quelle delle traversate sui pescherecci come si è visto nel caso della Norman Atlantic, spesso è possibile grazie alla compiacenza di quei microcosmi poco controllati che sono i piccoli porti in particolare della Turchia, ma anche della Grecia: sono numerosissimi gli immigrati irregolari che vengono respinti verso Patrasso.
Ma in molti casi la spiegazione è ancora più semplice: capita che in alcuni porti non ci siano semplicemente controlli adeguati ai passaporti: «Molto spesso - racconta una fonte della polizia di frontiera marittima - fermiamo persone con passaporti contraffatti che erano stati fatti
salire sui traghetti nei porti di partenza dopo controlli frettolosi al documento».I clandestini hanno insomma spesso con sé i documenti, ma falsi. E lo stesso vale per chi smercia beni leciti, ma fuori dai canali ufficiali.
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