La buona politica di Renzi? I trenta flop della Consulta

Ennesima fumata nera per l'elezione dei giudici costituzionali. Altro che "cambia verso", è una figuraccia da prima Repubblica

La Corte Costituzionale riunita nel palazzo della Consulta
La Corte Costituzionale riunita nel palazzo della Consulta

La fotografia dell'ennesima figuraccia della politica italiana sta tutta in quelle 444 schede bianche che ieri hanno sancito il trentesimo buco nell'acqua di un Parlamento incapace di eleggere tre giudici costituzionali i cui posti sono vacanti ormai da mesi e mesi. Una situazione deprimente, in cui gli stessi protagonisti dell'impasse non sembrano rendersi conto di aver di molto oltrepassato i limiti del ridicolo. Non solo le presidenze di Camera e Senato che continuano a ripetersi in appelli alla buona politica destinati inesorabilmente a cadere nel vuoto, ma gli stessi vertici dei partiti che prima si affrettano a inviare a deputati e senatori sms in cui chiedono il «massimo della presenza» e poi li invitano a «votare scheda bianca». Alla trentesima convocazione del Parlamento in seduta comune e dopo 11 giorni (dal 3 al 14 dicembre) in cui Montecitorio aveva congelato le votazioni con la scusa informale che si stava lavorando ad un'intesa, le istituzioni continuano dunque ad essere in balia di una paralisi surreale. Sia sotto un profilo pratico, perché la Corte Costituzionale è oggi di fatto in panne, visto che in questo momento basta che uno solo dei dodici giudici in carica sia indisposto che viene a mancare il numero legale per aprire le sedute. Sia sotto il profilo politico, perché la paralisi e l'inadeguatezza del Parlamento si scontrano frontalmente con la «buona politica» celebrata da Matteo Renzi alla Leopolda.

E qui sta il punto. Perché se a Firenze il premier si vanta di aver «rovesciato il sistema politico più gerontocratico d'Europa» e aver «cambiato verso» al Paese, a Roma lo stesso presidente del Consiglio invita i suoi gruppi parlamentari (insieme ad Area popolare e Sel) a votare scheda bianca sui giudici costituzionali come nella miglior tradizione della Prima Repubblica. Quella, per capirci, che nel 1971 - e non fosse stato il 24 dicembre magari l'avrebbe tirata ancor più per le lunghe - ci mise ben 15 giorni e 23 votazioni ad eleggere al Quirinale Giovanni Leone. Nelle fila della maggioranza, insomma, a differenza di quanto racconta Renzi c'è più di un affanno, con buona pace del «sistema gerontocratico» nostrano. Come pure fatica l'opposizione che, almeno per quel che riguarda il centrodestra, non riesce davvero a compattarsi sul suo candidato.La trentesima fumata nera, dunque, racconta il fallimento di un Parlamento che, anno dopo anno, si sta consegnando mani e piedi all'antipolitica.

Uno spettacolo avvilente, che rischia di ripetersi questa sera alle 19 quando le Camere si riuniranno per la trentunesima votazione in seduta comune. Soprattutto se, come ieri, continueranno a mancare all'appello 285 tra deputati e senatori: ben il 30% dei 951 parlamentari aventi diritto (e dovere) al voto.

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