La Guardia di Finanza dell'era Toschi si concentrerà sul contrasto al commercio abusivo. Non solo lotta all'evasione e al caporalato. Gli sforzi della Gdf riguarderanno anche i marchi taroccati venduti attraverso una rete capillare di venditori altrettanto taroccati. Ma le linee guida del nuovo comandante delle fiamme gialle Giorgio Toschi, non sono piaciute a tutti. Ieri, ad esempio, il Fatto Quotidiano ha stigmatizzato la nuova lotta all'evasione che mira a «sgominare falsari e vu cumprà» e «non disturba i veri criminali». Riflesso di tempi andati, quando la vecchia sinistra spiegava che vera illegalità sta sempre in alto, dalle parti delle imprese e delle professioni, mentre in basso c'è solo abusivismo per necessità.
I dati dicono cose diverse. Dietro un prodotto fasullo acquistato con leggerezza in una spiaggia o a una bancarella irregolare c'è una filiera che prospera, regno della criminalità organizzata e dello sfruttamento di esseri umani. Un'attività economica in crescita, che crea un danno enorme all'economia italiana in termini di fatturato perso e posti di lavoro cancellati.
Il fenomeno è mondiale. Da una recente indagine dell'Ocse, emerge che il valore delle merci contraffatte e dei prodotti pirata importati in tutto il mondo è stato di 461 miliardi di dollari nel 2013. Il 2% delle importazioni globali è illegale, percentuale che sale a 5 punti nell'Ue. Secondo gli ultimi dati ufficiali a livello mondiale, relativi al triennio 2011-2013, a soffrire più della contraffazione sono gli Stati Uniti, con il 20% delle violazioni dei marchi mondiali. Ma subito dopo c'è l'Italia, con il 15% delle contraffazioni. Fatte le proporzioni dei rispettivi Pil si capisce quanto sia proprio l'Italia a pagare il conto più salato.
Recentemente il presidente dell'Autorità anticorruzione Raffaele Cantone ha sottolineato come il problema sia sottovalutato. Manca la percezione di come un gesto semplice come acquistare una borsa fasulla, diventi un sostegno a un «sistema industriale» che alimenta la criminalità organizzata.
Una stima del fatturato di «Contraffazione spa» è difficile. Confesercenti, particolarmente sensibile al tema, l'anno scorso realizzò uno studio dal quale emergeva che a fronte di sequestri che in un anno (il dato è del 2014) hanno raggiunto i 913 milioni di euro, il fenomeno raggiunge un valore complessivo di 21,4 miliardi all'anno, con una perdita per l'erario di 11,1 miliardi di euro. Dati riferiti esclusivamente alla contraffazione, che rappresenta solo una parte dell'economia in nero.
Attività economica in diretta concorrenza con il commercio e la produzione regolari. Un fenomeno in crescita. Sempre Confesercenti ha calcolato che dal 2008 al 2014, la contraffazione è aumentata del 40,3%. A trainare il boom del falso sono paradossalmente le aree più ricche del Paese. Nel Nord Est l'aumento è stato del 147,2%.
Penalizzate, guarda caso, le località marine. In Emilia Romagna le attività commerciali a rischio chiusura per la concorrenza del commercio abusivo sono 10 mila. Il fatturato sottratto alle aziende della regione è di 500 milioni ogni anno, il 2,2% del totale.
A trarne vantaggio sono le organizzazioni criminali che monopolizzano il commercio abusivo e organizzano la rete di vendita dei prodotti taroccati, anche attraverso i venditori che ogni anno affollano le spiagge italiane. Ma anche i Paesi produttori.
Il 50% per cento delle merci contraffatte, secondo Indicam istituto di Centromarca per la lotta alla contraffazione, viene dal Sud Est asiatico. La Cina è di gran lunga al primo posto, seguita da Corea, Taiwan. Il 35% viene dai paesi del bacino del mediterraneo. Paesi che fanno concorrenza alla nostra manifattura, anche con le merci prodotte legalmente.
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