Non è bastata la coltellata di Adelio Bispo che, oltre a ferire il neo presidente del Brasile Jair Bolsonaro, lo scorso 6 settembre quasi lo ha ammazzato, facendogli perdere il 40% del sangue corporeo, incidendogli l'intestino in due punti e costringendolo a quasi un mese di ospedale. Ora si scopre anche che l'attentatore è stato difeso da uno studio legale che ha tra i suoi clienti il PCC, la principale organizzazione criminale del Brasile ma, soprattutto, che allo stesso Bolsonaro è stata aumentata nell'ultima settimana da 25 a 30 unità la forza speciale di scorta per il crescendo delle minacce di morte contro di lui. La fonte è la Polizia Federale verdeoro ed è stata ribadita pubblicamente ieri anche da Gustavo Bebiano, presidente uscente del PFL, il partito social liberale del neo presidente.
Anche per questi problemi di sicurezza Bolsonaro ha scelto di rimanere a casa sua, a Rio de Janeiro nel quartiere chic di Barra de Tijuca, nei prossimi giorni e di recarsi a Brasilia solo la prossima settimana. Il pericolo PCC è la vera causa ma, come motivazione ufficiale il prossimo ministro della Casa Civil, Onyx Lorenzoni, ha addotto che «il presidente eletto vuole riposare».
Non bastasse il gruppo narcos più strutturato del Brasile - paese che è il maggiore esportatore al mondo di cocaina, seguito da Colombia ed Argentina - Bolsonaro continua ad essere preso di mira anche dalle grandi star della musica internazionale. Dopo il cofondatore dei Pink Floyd Roger Waters, che alla vigilia del voto dell'altroieri, a Curitiba, aveva lanciato un appello contro il rischio fascismo in caso di vittoria di Jair, ieri per ultimo è arrivato Bono Vox degli U2 che, associando al caricaturale personaggio da lui interpretato di MacPhisto/Mefisto, a Belfast ha dato del demonio all'ex capitano dei paracadutisti.
La stessa sorte riservata da Bono due settimane fa a Milano contro Matteo Salvini che, sempre ieri, è invece tornato a farsi sentire sull'ex membro dei Proletari armati per il comunismo, Cesare Battisti. «Dopo anni di chiacchiere, chiederò che ci rimandino in Italia il terrorista rosso Battisti» ha twittato il ministro degli Interni italiano. Per poi ribadire in serata di non vedere «l'ora di incontrare il neo-presidente Bolsonaro» e di essere «lieto» di recarsi «personalmente in Brasile per andare a prenderlo (Battisti, ndr) e portarlo nelle patrie galere». Una risposta al figlio di Jair, Eduardo Bolsonaro, che ieri mattina aveva promesso sempre via Twitter di avere «un regalo in arrivo» per l'omologo demoniaco di suo padre nella visione di Bono.
Al di là degli slogan post e pre-elettorali tra Brasilia e Roma e per il grande rispetto che dovuto a tutte le vittime del terrorismo, risulta difficile credere che Battisti continui tranquillamente a starsene a Cananeia, il villaggio di pescatori sul litorale di San Paolo dove Il Giornale lo aveva incontrato un anno fa. «Se non è un babbeo se n'è già andato» ci confida un commissario in pensione esperto di intelligence ai tempi dell'ultima dittatura militare, un'ipotesi confermata anche da altri a chi scrive.
Sul piano internazionale, invece,
sono molti i punti di contatto tra Bolsonaro e gli Stati Uniti di Donald Trump, che ieri ha confermato di volere «lavorare a stretto contatto con il neopresidente nei settori del commercio, della tecnologia e delle Forze armate».
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