Caro ex,
c'è chi lascia dietro di sé profumo di fiori e di incanto. E chi impesta anche i ricordi con la sua scia di merda. Tu sei uno di questi. È difficile raccogliere i pensieri, rievocare la nostra storia e visualizzare un solo episodio non contaminato dalla sconcezza che c'è in te. Segreta e impavida suggeritrice dei tuoi gesti, mentre io, inconsapevole, disegnavo, con la cura e la dolcezza dell'amore, i tuoi giorni e le tue notti.
Dopo anni ho capito: hai sempre avuto un'altra donna per tutta la durata del cosiddetto «nostro amore». Avevo apprezzato la tua tenacia nel volermi, come fosse la migliore delle virtù covate da un uomo. Quanto ne abbiamo parlato divagando sul tema: la ferrea volontà di raggiungere un obiettivo, la costanza dei pensieri, la determinazione di portare a termine le proprie opere. Però ci vuole coraggio, per fare e fare bene. I fatti devono confermare i propositi. Dicevi «avrei voluto che fossi stata tu a educare i miei figli, perché sai cogliere l'essenza positiva delle persone. Io sono stato sempre criticato per quella che gli altri chiamano cocciutaggine e tu invece dai valore alla mia ostinazione. Questo mi renderà migliore».
Hanno ragione gli altri. Invece. Sei cocciuto, infatti, perché sei stupido. E presuntuoso. È proprio invece sull'equivoco della tua intelligenza che io ho interpretato ogni tua parola, gesto, fatto; sul presupposto dell'onestà. Sulla convinzione della verità che doveva sempre regnare tra noi. Sulla fiducia che ti eri conquistato manipolando il mio categorico e assolutista vivere l'amore.
Non ti volevo. Eri sposato. Mi hanno sempre fatto orrore i tradimenti. Mi hai inseguito con perseveranza straordinariamente lusinghiera. Ti dicevo che avevi il tasso erotico di un comodino, perché così vedevo tutti gli uomini «impegnati» che mi corteggiavano. Ho sempre nutrito una ferma solidarietà per le donne di quegli uomini e mortificavo col rifiuto irridente i loro penosi mariti.
A te non ho resistito. Mi avevi convinto. Per la tenacia e per le dichiarazioni di verità. Per le tue confessioni, non richieste, sul tuo passato e presente di traditore pentito. Per la tua voglia di cambiare. Volevi entrare nei miei pensieri e fare parte del mio modo gioioso e rigoroso di vivere. Dopo mesi e mesi, il mio sprezzante fare verso di te si è dissolto in un bacio ricco di dolcezze antiche e il mio corpo è diventato l'oggetto felice delle tue sapienti carezze. E io da quel momento la vittima della tua vita. Ora so che sei un narcisista. Tutto quello che hai fatto, l'hai fatto solo per farti apprezzare, per sembrare unico. Come ti credi di essere. Come hai fatto credere anche alle altre. Non è l'amore, non è il coraggio di amare un'altra persona, che ha guidato il tuo agire. L'«altra» non c'è, non esiste se non come presenza funzionale all'espressione di te. E in quel momento avevi bisogno di me, per scappare dai figli, dai mutui, da una moglie impositiva, da abitudini ripetitive che mortificavano la tua sete di grandezza.
Di te dicevi «sono un bel ragazzo» e ragazzo non lo eri più da almeno trent'anni. Ma mi piacevi. Un po' scanzonato all'apparenza, e tuttavia praticavi un senso del dovere esagerato. Serio e passionale. Attento al dettaglio.
Credevo di essere amata, eppure soffrivo. Ero troppo lacerata tra i miei rigori morali e l'attrazione verso di te. Tu dicevi di macerarti nel senso di colpa per la famiglia e rimandavi il tempo di cominciare a costruire una nostra vita che non fosse contemporanea a quella che affermavi esserti stretta. Naturalmente ti eri fatto subito scoprire da tua moglie: momento di grande trionfo per il tuo ego, ora capisco. Scenate epiche, dichiarazioni d'amore che non ascoltavi da anni, vacanze esotiche nell'interesse dei figli. E natali, pasque, compleanni con tutta la famiglia intorno, dedicata a trattenere l'ipotetico transfuga. Mai fuggito.
E io sola ogni notte nel mio letto freddo, sola a pensarti preda delle rassicuranti sensazioni di appartenenza familiare che trattengono e avviluppano la voglia di cambiamento. Mi sentivo persino io colpevole di avere tradito il mio modo di essere e di pensare. Lasciandoti, ogni volta che ti lasciavo, altro non facevo, ora me ne rendo conto, che coltivare il tuo protagonismo. Oggi non posso che ironizzare sul paradosso: predicavo l'ecologia di sentimenti senza rendermi conto di parlarne a un «egologista».
Addii, ritorni, promesse, allegre ripicche. La sceneggiatura, identica e implacabile, si è ripetuta all'infinito. E tu la rappresentavi sia per me, sia per tua moglie. Io non lo sapevo naturalmente, ma oggi ho capito che gioco sporco e crudele andavi conducendo. Le sue lettere, che mi facevi leggere accompagnando il gesto con parole di pietà per quella «poverina confusa», raccontavano bene la trama della tua commedia che io avrei dovuto intuire. Sarei dovuta scappare da te allora, quando hai cominciato a usarmi. So esattamente, ora, come si svolgevano le cose, perché hai tentato di ripetere l'inganno a spese mie e di un'altra che a un certo punto ha distrutto la tua vita e ha inopinatamente illuminato la mia. Tu hai proprio un bisogno malato di dividerti e moltiplicarti tra due donne; non ne puoi fare a meno. Non ne hai mai fatto a meno. Sai interpretare bene la parte dell'eroe sacrificale, capace di offrire alla sua donna niente più che i pianti disperati di un'altra donna. Non sei libero, non sai costruire, non sei progettuale se non a brevissimo tempo. Il tempo di confezionare uno spot. Per sedurre, per conquistare. Subito dopo viene il tradimento: è un colpo di scena per te essenziale, per capire quanto vali e chi ti vuole. E fino a che punto le altre ti vogliono. Non è quindi una vergogna o un intrigante imbarazzo. Anzi. Per te il tradimento è indispensabile che venga scoperto e diventi l'occasione di un ampio confronto. Più tempo dura la discussione e l'incertezza delle donne in gioco e più tu senti di esistere e di essere il centro del mondo. Il tradimento è l'unica prova che puoi dare per convincerti di essere entrato nel mondo dei sentimenti. Ti senti uomo solo quando due donne si disfano per averti. Ma non c'è amore dove c'è distruzione, inganno, vigliaccheria. E così ti ho rotto il gioco. Non mi sono mai disfatta per averti, né mai ho elaborato strategie. Tu mentivi, complice tua moglie della tua anima sconcia; mi promettevi tanto amore. Io non sapevo, non capivo che lei c'era ancora. E in cambio della mia fiducia ho ricevuto tanto dolore. Da te e da tua moglie.
Tutte le donne che hai coinvolto nella tua perversione sono figure tragiche in un territorio grottesco, da te contrabbandato come luogo del sentimento e invece palcoscenico di un truffatore.
Bisogna provarne un'altra, per capire se ti andava bene o no la prima? Se ti «andava stretta», come dicevi tu che delle donne ti adorni come di un vestito. Ma, superficiale come sei, non hai mai valutato quale fosse di seta, di plastica o di lana. Anzi nella stessa stagione sai alternare, con glaciale e bieca indifferenza, cachemire e lino. Tanto il caldo e il freddo li crei tu, la realtà ti è indifferente. Il tuo coraggio consiste nell'ignorare le conseguenze delle tue finte parole e delle tue devastanti azioni. Il dolore di una donna che si strappa dal cuore brandelli di sentimenti è per te profumo di bosco, energia solare, acqua di ruscello. E quando tua moglie ha cominciato a inseguire per il mondo le follie artistiche di tua figlia, ti è mancato il respiro dell'oscenità. Forse lei era un po' esausta di quest'attesa di te malgrado me, forse ha capito di essere complice patetica di un tuo gioco per lei inutile, dove i sentimenti c'entravano poco. Fatto sta che lei ha, finalmente, cominciato a non convocarti più, a non sollecitare più la mia gelosia con la sua invadenza. E tu ti sei trovato senza palcoscenico e senza trama. Senza il triangolo eccitante nel quale l'ipotenusa è la tua nullità.
Quale scoop migliore e risolutivo, alla tua età, del coinvolgere una poverina che ha la metà dei tuoi anni? Una donna che nella sua vita ha festeggiato meno compleanni che uomini. Nel tuo impulso inarrestabile di sostituire il vuoto che tua moglie aveva lasciato nel teatro della nostra vita, sempre pianificando nell'ombra, ti sei organizzato per trovare la sostituta co-protagonista. Ti ho scoperto subito, naturalmente. Nello stesso momento in cui percepivo la tua strumentale e squallida pornografica menzogna, ho smesso di amarti. Di colpo. All'istante. Sei diventato un estraneo. Lontano e piccolo. Un vecchio triste. La bocca increspata e bugiarda, gli occhi senza dignità. Tutto quello che mi piaceva di te è diventato improvvisamente fastidioso. E penoso. Sei senza coraggio: non sai scegliere, né lasciare, né amare. Hai detto che non eri innamorato di lei, ma che non potevi perdere l'opportunità di farti una giovincella alla tua età. Anche questa è mancanza di coraggio: il coraggio di vivere la vita che ti sei costruito, il coraggio di rinunciare a crederti immortale, il coraggio di seguire gerarchie e priorità prima di cedere a impulsi bestiali. Le tue parole risuonavano sorde nella nube di stupore che continuavo a produrre. Incredula e agghiacciata.
Tu non sai, non puoi sapere l'enormità del dolore che spacca i pensieri di chiunque si sente tradito da chi ama. Ero allibita dalla tua pochezza. Mi attanagliava la paura, mi avvelenava la delusione: ho respirato in un attimo tutto il male del mondo. E mentre rimbombava in me il fragore della certezza del tradimento, la mia coscienza era attonita: sapevo che quel dolore l'avevi voluto tu per me, me l'avevi dedicato con consapevolezza. Il regista del male.
Non sono pentita di averti amato. Non so darmi pace per non avere capito chi stavo amando minuto per minuto. Appunto: un uomo senza coraggio. Non libero da se stesso e dai suoi mostri interni: hai voluto continuare a coltivarli anziché ucciderli con la coscienza, la volontà, il sentimento. Con l'aiuto del mio amore infinito. Non hai saputo neppure rispettare i miei sentimenti e i miei valori. La verità, sopra ogni cosa. La lealtà come scelta, difficile certamente, di vita. Ti ho scoperto stupido, perché non hai capito l'importanza di costruire la vita onorando i sentimenti. Presuntuoso, perché convinto di gestire te stesso e gli accadimenti con la tua, creduta eccezionale, intelligenza. Ma sei irresponsabile. Hai seminato il male. Hai messo donne una contro l'altra e le hai tradite tutte. Hai sguazzato nel dolore altrui, di cui ti sei imbevuto, per mascherare la tua pochezza.
Come potevo continuare ad amarti? L'amore è uno stile di vita che si sceglie e si compone in due ogni giorno. Anche se si è molto diversi, l'uno dall'altra, si sa scoprire con sapienza il luogo di incontro e di fantasia. È bello esporsi senza pudore all'accettazione dell'altro, ma non si può arrivare al punto di violentare la sua identità e i suoi rigori. Volevi usare il male che mi avevi fatto per piegarmi al tuo gioco crudele. Pretendevi la complicità che era stata delle tue donne di scorta. Iniziavi un'altra storia e mi volevi ancora, contrattare nell'aspettarti. Sei stato spiazzato dal mio rifiutarti. Hai trovato invece l'accoglienza incondizionata di quella che aspirava a gustarsi il mio avanzo, l'uomo deteriorato dal tempo e da se stesso. Ora sei infelice, non sai che fare, né con me né con lei. Continui inutilmente, come un bambino capriccioso, irritante e lagnoso, a volere rappezzare il tuo gioco immondo. Non hai neppure il coraggio di credere al mio odio. Certo che ti odio. Solo un grande amore può produrre un sentimento così grande e così forte, come l'odio che sento verso di te. Un grande amore maltrattato, vilipeso e imbrogliato. Un amore inutile, alla fine, perché non ha migliorato la tua anima sporca. Un amore suicidario il mio, visto che ti ha dato il coraggio, l'unico tuo gesto di coraggio, di ferirmi a morte.
Non mi hai ucciso, però. Hai ucciso la nostra storia. Il finale determina sempre il giudizio sulla qualità di un film o di un romanzo. Perché non dovrebbe essere così per una trama di vita scritta a quattromani? Che poi nella storia di un traditore, per scelta o per istinto, di mani ce ne siano molte di più, è solo il presupposto per trasformare la scrittura dei sentimenti in un romanzo banale e pasticciato, gravido di schifoso dolore. Ciò che non conosci e non puoi capire è la terribile lotta che ho dovuto sostenere contro la violenza del dolore. Un conto è smettere di amarti, un altro è capire come mai, dopo essermi liberata di un verme, mi manca il respiro e la notte sono convinta di morire. E allora esco da quel letto che un tempo ospitava il rinnegato e cerco di esaurire la rabbia bruciante che mi blocca la gola. Non capisco perché, pur non avendo toccato cibo per tutto il giorno, ho solo voglia di vomitare. E vomito. Vomito il ricordo di una sera davanti al camino, l'idea di tenerti per mano da vecchio, il desiderio di almeno una notte d'amore nella sincerità, la faccia da perdente che hai ogni volta che ancora mi vieni a cercare. Vomito il perdono che vuoi e non posso darti.
Non posso, e non voglio, perdonare chi ha succhiato il mio sangue a tradimento per darlo a un'altra. Non posso desiderare le tue carezze dopo che hai usato le tue mani per abbracciare un'altra donna e sbatterla per sempre nei miei ricordi. Anche in quelli che ho archiviato per sempre. Perché puzzano di te.
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