«Non siamo guerrafondai ma siamo molto incazzati perché vogliamo l'autonomia In Veneto», ha urlato il governatore Zaia dal palco di Pontida domenica scorsa. Una sottolineatura che potrebbe sembrare pleonastica in quella che è la sede storica dell'indipendentismo padano e che, ancor più oggi, esprime quelle istanze per tutta Italia visto l'exploit elettorale della Lega.
Vien qui da domandarsi perché Zaia abbia voluto lanciare quel messaggio visto che giocava «in casa», tanto più che i suoi colleghi governatori del Carroccio, il lombardo Fontana e il friulano Fedriga, sono stati molto più rassicuranti facendo riferimento a un'autonomia che arriverà presto. Il presidente della Regione Veneto aveva addirittura incontrato a metà giugno il ministro degli Affari Regionali, Erika Stefani, per fissare una sorta di cronoprogramma. Una mossa che aveva irritato non poco gli altri colleghi, in particolare il governatore dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini, ansioso di avviare l'iter.
È passato un mese ma non è accaduto nulla. «Mi aspetto che entro l'anno l'autonomia venga concessa - ha dichiarato giovedì scorso Bonaccini - non voglio pensare che chi ha sempre detto che era un percorso giusto ci metta più di un anno per concederla, anche perché oltre la metà del lavoro è già stata fatta». Queste parole spiegano il perché della sortita di Zaia: il governo ha anteposto questioni molto più appaganti in termini di consenso come lo stop all'immigrazione e il taglio dei vitalizi a un tema più divisivo come le autonomie regionali che, però, sono nel dna della Lega. Per fornire un ulteriore indizio di questa frenata è sufficiente raccontare che in Piemonte chi incalza Chiamparino sul tema dell'autonomia non è il Carroccio, bensì Forza Italia.
Nello scorso il 98,1% dei veneti ha votato sì alla richiesta di una maggiore autonomia. Volontà popolare poi recepita da un accordo tra il governo Gentiloni e Veneto, Lombardia ed Emilia per una devolution sostanziosa. La parte ricca del piatto è la maggiore compartecipazione al gettito fiscale locale (il Veneto è contributore netto verso il resto del Paese per 28 miliardi di euro) e l'applicazione dei costi standard. Il Nord ha molto da guadagnare in questa partita. Peccato, però, che al governo ci siano i Cinque stelle che sono la forza più votata al Sud e che, quindi, non possono dare l'ok a una processo che, in teoria, potrebbe essere penalizzante per il resto del Paese. E di sicuro la Lega di Matteo Salvini non può aprire una crisi su questo tema tanto più che all'orizzonte potrebbero esserci altre cambiali da portare all'incasso come la dual tax.
Resta da capire perché Zaia non sia andato oltre quell'esternazione. Secondo alcuni rumor, il governatore non avrebbe voluto esasperare le frizioni con lo stato maggiore leghista. C'è bisogno di sostegno a Palazzo Chigi e in Parlamento. In primis, per garantire serena navigazione alla legge delega sull'autonomia (quando - e se - sarà varata). In secundis, perché sono in molti a sostenere che a Zaia non dispiacerebbe un terzo mandato.
La recente legge elettorale veneta ha abolito i limiti di due consiliature per gli eletti. La circostanza avrebbe irritato Zaia che, tuttavia, potrebbe seguire l'esempio di Formigoni (ricandidatosi al cambio di legge) oppure sperare in una modifica della normativa attuale. Chi l'approvo? Umberto Bossi.
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