Troppo cara, difficile da stampare, tecnologicamente obsoleta. La carta d'identità elettronica ha fatto flop. Presentata come il simbolo della svolta digitale, è miseramente naufragata sugli scogli della burocrazia, trascinando con sè negli abissi promesse e attese. «Stiamo studiando se sia possibile inserire anche dati biometrici, come le impronte digitali o la mappa dell'iride», fantasticava che era il 1997 l'allora ministro della funzione pubblica Franco Bassanini. L'obiettivo era chiaro: racchiudere vita, morte e miracoli degli italiani in un chip. Invece 4 anni sono passati solo per definire (con 4 decreti) specifiche tecniche e modalità di rilascio. Poi, nel 2001, l'avvio della fase di sperimentazione in 200 Comuni, sugli oltre 8.000 del Belpaese. «Entro il 2005 l'avranno tutti», giurava il ministro dell'interno dell'epoca, Enzo Bianco, consegnando il primo esemplare. Che è rimasto tale - o quasi - fino a quando, nel 2005, il Governo Berlusconi non ha rimesso in moto la macchina digitale, stabilendo che dal 2006 i Comuni avrebbero dovuto emettere esclusivamente tessere elettroniche. Ma con Prodi e gli ulivisti il meccanismo s'inceppa. Allora nel 2011 Berlusconi ci riprova. Le norme attuative, però, non vedranno mai la luce perchè intanto a Palazzo Chigi arrivano i professori. E s'inventano il documento digitale unificato, destinato a sostituire carta d'identità e tessera sanitaria. Bello. E talmente avveneristico che nessuno l'ha mai visto. Morale della favola: in 14 anni di sperimentazione sono state 4 milioni le carte d'identità digitale rilasciate. I perché della debacle? Arcinoti. Le macchine stampatrici, per dire: a Firenze ne hanno una. A Milano (dove le identità digitalizzate toccano il 5%, un record come i tempi d'attesa, che superano i 6 mesi) ne avevano 4, hanno speso 80.000 euro per comprarne altre 6, ne servirebbero 42. A Roma e a Napoli la Cie si può richiedere in un solo Municipio. A Bari in 3. Ovunque costa 25 euro, cinque volte più della gemella di carta. Non bastasse, la tecnologia usata è superata e spesso la connessione coi terminali del ministero va in tilt. A Trento, dove di card di nuova generazione ne sono state sfornate 22.000 in un decennio, qualche mese fa l'assessore al decentramento Renato Tomasi ammetteva: «Se la macchina viene usata per produrre più d'una decina di tessere al giorno rischia di saltare. Aggiustarla è troppo costoso ed i pezzi di ricambio sono introvabili». Stufi e senza soldi, i Comuni alzano bandiera bianca: nel 2015, secondo i dati forniti dal Viminale, dei 200 enti sperimentatori soltanto 61 hanno richiesto carte elettroniche per l'anno in corso, per quantitativi irrilevanti: 1.500 Roma, 500 Napoli. Tutti gli altri niente. Così Modena, Ravenna, Rimini e da ultimo Bologna. «La strumentazione della carta d'identità elettronica - spiegano da Palazzo d'Accursio - è obsoleta, i pezzi di ricambio difficili da reperire, i costi di sostituzione elevati. Inoltre, i malfunzionamenti del sistema provocano blocchi del servizio, causando ulteriori aumenti dei tempi di lavorazione e disservizi per i cittadini». Per cui dal 2 novembre stop al rilascio di nuove carte d'identità elettroniche. E il Governo dei rottamatori? Punta allo Spid, alias sistema pubblico di identità digitale: un codice identificativo unico per accedere a tutti i servizi pubblici, in primis Inps, Inail e Agenzia delle Entrate.
L'obiettivo iniziale era di 3 milioni di spid da rilasciare nel 2015. Ma come conferma l'Agenzia per l'Italia Digitale, alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri, si partirà concretamente (e solo per alcuni servizi) non prima di dicembre.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.