Sarà una dichiarazione simbolica o sarà vera indipendenza? Prenderà più tempo con Madrid o cercherà un arbitrato internazionale? O, la meno sperata, scenderà Bruxelles nell'infuocata arena iberica per prendere i due contendenti per le corna? Comunque vadano le cose, oggi, al Parlament, una certezza non è ipotesi: Carles Puigdemont, per la lunga lista di violazioni commesse, dovrà affrontare un'imputazione a 25 anni di carcere. In più dovrà pagare multe per una decina di milioni di euro e incassare una condanna accessoria che sarà la sua fine politica: l'interdizione a vita dai pubblici incarichi. E questo vale, in forme minori, anche per quel triumviro che sostiene la sua secessione a tutti i costi: Junqueras, suo vice, Forcadell, presidente del parlamento catalano e Trapero, maggiore dei Mossos d'Esquadra, già imputato per disobbedienza e sedizione.
Puigdemont dalla sua parte ha soltanto il suo popolo d'indipendentisti, pari a meno del 40 per cento dei 5 milioni che avrebbero potuto votare per il «no» al referendum di domenica 1° ottobre, ma che non si sono nemmeno presentati ai seggi, perché totalmente contrari al referendum «fai da te». Lui, l'ex sindaco di Girona col caschetto posticcio anni Sessanta, lunedì è rimasto in silenzio nell'ufficio della Generalitat con i suoi più fidati e Artur Mas, l'eminenza grigia della secessione, l'ex presidente catalano condannato a sei anni e a 5 milioni di euro di multa per quella stessa smania di dividere catalani e spagnoli. Ha ascoltato le parole preoccupate di chi vede fuggire, impotente, le principali aziende che formano la spina dorsale dell'economia catalana. E qualcuno dei suoi, forse, gli ha anche disegnato il quadro stile «Anno Zero» del dopo Catalexit: disoccupazione in aumento di sette punti in tre mesi (dal 13,2 al 20,2) e un territorio profondamente impoverito dalla fuga dei capitali. Ieri, anche il sindaco di Bercellona Ada Colau ha chiesto una nuova riflessione: «Puigdemont non dichiari l'indipendenza unilateralmente. Lasciamo la trincea, è il momento del dialogo».
Lunedì, fonti all'interno dell'Agenzia Tributaria catalana hanno comunicato il desiderio di mediare con il Fisco spagnolo il complicato processo di «riassegnazione» dei tributi Irpef, Iva e societari dalle casse di Madrid a quelle di Barcellona. Un indizio che, quindi, potrebbe svelare la reale volontà di Puigdemont di sugellare oggi in parlamento l'avvenuta secessione, in base alla vittoria dei «Sì» il 1° ottobre. E questo smentendo le ultime dichiarazioni del suo partito PDeCAT, nato dalle ceneri dell'inquisito Cdc. Ieri, a 24 ore dalla grande manifestazione di unionisti che ha invaso pacificamente con quasi un milione di persone Barcellona, Jesús María Barrientos, presidente del Tribunale superiore di giustizia catalano ha affidato la sicurezza del Palazzo di Giustizia alla Policia Nacional, scavallando i Mossos d'Esquadra. Nel Palazzo risiedono i giudici titolari dei procedimenti di giustizia contro Junqueras e altri organizzatori del referendum illegale.
Intanto, lunedì, da calle Génova, sede centrale del Partido Popular, Rajoy ha avvertito la Generalitat che in caso di dichiarazione «il Pp userà la Costituzione e il codice penale per fermare il processo», ribadendo che «la mano che si oppone all'indipendentismo resta ferma». Gli ha fatto eco Pedro Sánchez, leader dei Socialisti, forza alleata del governo.
«Supporteremo la risposta dello Stato di diritto di fronte a qualsiasi tentativo di distruggere l'armonia sociale, agiremo per scongiurare ciò che potrebbe accadere». Una risposta netta a chi indugia nel ripetere che «l'eventuale annuncio della Catalexit non rimarrà senza risposta».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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