Le espulsioni dei candidati alle Comunarie di Roma del 2016? Illegittime. Lo attesta la sentenza del Tribunale capitolino, a firma del giudice Francesco Remo Scerrato, che fa luce sulla faida scoppiata in casa Cinque Stelle per la corsa al Campidoglio e che adesso (anche se nel frattempo la fisionomia giuridica del M5s è cambiata) potrebbe spianare la strada ai critici delle Parlamentarie, messe in discussione da una parte del popolo grillino al grido di #annullatetutto.
Al centro della vicenda romana, trattata dalla Sedicesima Sezione Civile, la posizione degli attivisti Antonio Caracciolo e Roberto Motta, espulsi nel bel mezzo delle Comunarie vinte da Virginia Raggi: Motta per un commento che contestava la regolarità del sistema di voto, postato quando non era iscritto al Movimento. Caracciolo, invece, ricercatore alla Sapienza, per alcuni articoli che lo descrivevano come negazionista, sebbene il Consiglio di disciplina universitario avesse riconosciuto la correttezza del suo operato. A decretarne l'espulsione era stato lo Staff di Beppe Grillo. I due, assistiti dall'avvocato Lorenzo Borrè, erano riusciti già in sede cautelare, nell'aprile del 2016, a ottenere la riammissione. Ieri è arrivata la sentenza. Sotto osservazione, anzitutto, la nebulosa grillina: Caracciolo e Motta avevano citato in giudizio l'associazione «MoVimento 5 Stelle» fondata nel 2009 da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, rimasta contumace ma sostenuta nella difesa dall'intervento in causa dell'associazione «Movimento 5 Stelle», creata nel 2012. Una maiuscola di differenza, ma per il Tribunale l'associazione alla quale far riferimento è quella del 2009, costituendo l'altra solo il soggetto chiamato a curare «il profilo tecnico-burocratico connesso alla presentazione delle liste». Alla fine, sancite anche violazioni regolamentari nelle procedure seguite per la cacciata dei due attivisti, inevitabile la condanna «della contumace associazione MoVimento 5 Stelle del 2009 e dell'intervenuta associazione Movimento 5 Stelle del 2012 al pagamento delle spese di lite». Quasi 30.000 euro, ai quali potrebbero aggiungersi corposi risarcimenti. E siccome piove sempre sul bagnato, sempre ieri è arrivata pure la scomunica di Julian Assange, icona della controinformazione tanto cara ai Cinque Stelle, che ha personalmente smentito potersi ricondurre al suo Wikileaks il profilo Wikileaks Italia, attivo nel sostegno al M5s. Un falso account per una nuova imbarazzante grana, l'ennesima per Luigi Di Maio.
In Veneto, ad esempio, resta alta la tensione per l'invito «a tirar fuori nefandezze» sugli avversari, lanciato dal responsabile regionale della comunicazione, Ferdinando Garavello. «Un'iniziativa personale», l'aveva definita Di Maio, minimizzando.
Ma la consigliera regionale Patrizia Bertelle e 16 consiglieri di diversi comuni attaccano: «Non possiamo intenzionalmente cercare di spargere fango come la peggiore stampa scandalistica: infamie, delazioni e dossieraggio non trovano accoglienza nel nostro MoVimento». Anche in questo caso, con la V, in maiuscolo. A richiamare le origini ormai lontane, forse perdute per sempre.
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