Un cellulare nelle ciambelle per il "corvo" vaticano

Era ai domiciliari ma utilizzava un telefonino fattogli avere di nascosto

Lucio Angel Vallejo Balda
Lucio Angel Vallejo Balda

Un telefono cellulare, una scheda Sim e un caricabatteria, tutti nascosti dentro ad una confezione di ciambelle, ben sigillata e consegnata ai frati francescani che gestiscono il Collegio dei Penitenzieri dentro al Vaticano. Destinatario: monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, il presunto corvo del caso Vatileaks 2, dal 22 dicembre agli arresti domiciliari dentro le mura leonine nella stanza che fu di Josef Wesolowski, l'ex nunzio apostolico nella Repubblica Dominicana, morto prima che si potesse celebrare il processo a suo carico per abusi su minori. Il prelato spagnolo dopo esser stato arrestato i primi di novembre, insieme a Francesca Immacolata Chaouqui, con l'accusa di aver divulgato documenti riservati della Santa Sede, aveva ottenuto dal tribunale vaticano la possibilità di trasferirsi nella comunità monastica dentro al piccolo stato, a due passi dal Comando della Gendarmeria. Sono stati proprio gli uomini guidati da Domenico Giani però a cogliere sul fatto il monsignore che da alcuni giorni, sorvegliato a vista, è stato di nuovo trasferito in camera di sicurezza, nella cella che fu di Paolo Gabriele, il corvo del primo Vatileaks.

Vallejo Balda in questi mesi si era guadagnato la fiducia dei frati della Penitenzieria, stava scrivendo un libro di preghiere, ogni mattina passava alcune ore nella cappella, celebrava la Messa, il 31 dicembre aveva addirittura brindato con i religiosi, a mezzanotte in punto, per festeggiare l'arrivo del nuovo anno. Poco tempo fa, di mattina presto, però, alcuni amici, come in una spy story, hanno portato ai frati un dono inaspettato per la colazione: un pacco di dolci per il monsignore. All'interno c'era, molto ben nascosto, un telefonino. Il prelato spagnolo, trovata la sorpresa, l'ha subito attivata e messa in funzione, senza pensarci due volte: gli uomini della Gendarmeria hanno recuperato tracce di dozzine di telefonate in Italia e in Spagna, soprattutto chiamate internazionali ad un caro amico sacerdote e a un giornalista freelance. Poi decine e decine di sms scambiati con amici italiani, messaggi di posta elettronica in entrata e in uscita e scambi di fotografie. Il prelato avrebbe accumulato almeno 8 ore di chiacchierate con l'amico cronista spagnolo: Vallejo Balda parlava con lui delle sue condizioni di salute, della vita da detenuto in Vaticano e del desiderio di ritornare in Spagna, «quando tutto sarà finito».

Il monsignore, la cui posizione si è aggravata, con il rischio anche di un'altra denuncia per aver violato i termini degli arresti domiciliari, aveva iniziato a usare il telefono tranquillamente, giorno e notte, agganciandosi alla rete internet dal Collegio dei Penitenzieri, parlando dalla propria camera. Ma non sapeva che la sicurezza vaticana lo stesse già tenendo d'occhio da un po': un'informazione riservata, arrivata all'orecchio degli ufficiali insieme al pacco dono, aveva fatto scattare l'allarme. E così i «poliziotti del Papa» hanno lasciato volutamente per un po' di tempo il telefono nelle mani del presunto corvo, raccogliendo nel frattempo, grazie a quelle comunicazioni, informazioni e dettagli utili.

Poi, al momento opportuno, l'hanno colto di sorpresa. E il monsignore è finito in una cella di sicurezza. Ieri intanto è ripreso a porte chiuse il processo per i cinque imputati che domani e martedì saranno sentiti in aula.

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