C'era una volta il Movimento Sociale Italiano

Oggi ricorrono i 70 anni del Movimento Sociale Italiano, fondato e guidato per molti anni da Giorgio Almirante

Giorgio Almirante con un giovane Gianfranco Fini
Giorgio Almirante con un giovane Gianfranco Fini

Sono ormai passati 70 anni da quel lontano 26 dicembre 1946 quando Giorgio Almirante, Pino Romualdi e Augusto De Marsanich si riunirono nello studio di Arturo Michelini per fondare il Movimento Sociale Italiano. La destra italiana, da quel momento fino all’avvento della Seconda Repubblica, ha avuto l’ostracismo della ‘conventio ad excludendum’ che teneva fuori l’Msi da ogni ipotesi di alleanze di governo, sia a livello nazionale sia locale.

Il Movimento Sociale del 1948 si dichiarava, infatti, erede dell’ultimo fascismo, quello della Repubblica di Salò e faceva suo il programma del Partito Fascista Repubblicano enunciato sulla Carta di Verona. I postfascisti prendevano, perciò, ufficialmente le distanze dal ‘fascismo-regime’ nel nome del motto almirantiano ‘Non rinnegare, non restaurare’, ma si riconoscevano nel ‘fascismo-movimento’, il cosiddetto ‘fascismo delle origini’, e le sue teorie anticapitaliste. La stella polare era il discorso che Benito Mussolini tenne nel 1919 a piazza San Sepolcro a Milano, quando diede vita ai ‘Fasci di Combattimento’. Ma veniamo alla storia della destra del dopoguerra. La prima volta che la ‘fiamma’ si presentò sulle schede elettorali fu per le amministrative del 1947 quando si presentò alle elezioni amministrative ed elesse tre consiglieri in Campidoglio, mentre alle politiche del 1948, l’ Msi guidato da Giorgio Almirante, ottenne il 2% alla Camera e l’1% al Senato.

Augusto De Marsanich, nel 1950, prese il posto di Almirante alla guida del partito e cercò di imprimere una svolta moderata al Movimento Sociale così da accelerare il suo ingresso nella vita democratica del Paese. Due anni più tardi, l’alleanza con i monarchici per le elezioni amministrative, portò l’Msi alla vittoria in sei comuni del Sud: Napoli, Bari, Foggia, Benevento e Salerno. Alle elezioni politiche del 1953 il Msi vide triplicarsi i suoi voti passando dal 2 al 5,8% e il congresso di Viareggio dell’anno successivo all’elezione a segretario di Arturo Michelini. Una scelta nel segno della continuità e della moderazione per proseguire quell’opera di ‘inserimento’ che iniziò a dare i suoi frutti con l’appoggio esterno ai governi Zoli e Segni. Fu il voto determinante dato al governo di Ferdinando Tambroni a provocare le manifestazioni di protesta a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, che impedirono al Movimento Sociale di celebrare nel capoluogo ligure il suo sesto Congresso. In quegli anni i militanti missini furono affascinati dalle teorie di Julius Evola e la corrente spiritualista guidata da Pino Rauti lasciò il partito per fondare Ordine Nuovo. Rauti, poi, nel 1969, con il ritorno di Almirante alla segreteria, si iscrisse di nuovo al Msi, mentre Ordine Nuovo prese una deriva estremista e terrorista.

Hanno inizio gli anni di piombo e la strage di piazza Fontana del 2 dicembre 1969 viene attribuita all’estrema destra, ma Almirante, con la ‘politica del doppiopetto’, riesce a tenere lontano il Movimento Sociale da una deriva estremista e nel 1972 dà vista al MSI-Destra Nazionale alleandosi con i monarchici di Alfredo Covelli e Achille Lauro. Le elezioni politiche del 1972 segnano il massimo storico per il partito che ottiene l’8,7% dei consensi ed elegge 55 deputati e 26 senatori. Il Congresso del 1977, però, provoca la prima frattura con l’ala moderata di Ernesto De Marzio che lascia il Msi e fonda ‘Democrazia Nazionale’, un’An ante litteram che scompare nel giro di due anni. Nel frattempo le teorie del francese Alain de Benoist prendono piede anche in Italia e la ‘Nouvelle Droit’ trova voce grazie allo storico Franco Cardini, al politologo Marco Tarchi e all’intellettuale Umberto Croppi, mentre Rauti diventa il leader della ‘sinistra missina’. Gli anni ’70, nel mondo postfascista, sono ricordati soprattutto per eventi tragici come il rogo di Primavalle del 1973 e l’uccisione del militante greco, Mikis Mantakas, avvenuta sempre a Roma nel 1975, mentre la stage di Bologna del 1980 segna simbolicamente la fine degli anni di piombo.

Si arriva, poi, al dicembre 1987 quando Almirante, poco prima di morire, lascia la guida del partito al suo ‘delfino’ Gianfranco Fini che traghetta il partito nella Seconda Repubblica.

Alle elezioni amministrative del 1993 il Movimento Sociale, grazie a Tangentopoli, viene definitivamente sdoganato dagli elettori: oltre il 40% a Roma e a Napoli con Fini e la Mussolini, sconfitti con onore da Francesco Rutelli e Antonio Bassolino. Sul resto, dal Congresso di Fiuggi in poi, non è più storia dell’Msi ed è meglio calare un velo pietoso…

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