Non vorremmo essere quel magistrato incaricato di giudicare il carabiniere che nella notte fra giovedì e venerdì ha ucciso a Napoli, con una pistolettata, un ragazzo di appena 17 anni (li avrebbe compiuti il 29 del mese in corso). Si troverà di fronte a un caso tipicamente italiano, dove la pietà per un giovane morto s'intreccia con l'indifferenza generalizzata verso le regole civili, per cui diventa difficile stabilire i confini entro i quali è legittimo ricorrere alle armi allo scopo di imporre il rispetto dei codici. Brutalmente: in quali circostanze un tutore dell'ordine pubblico è autorizzato a usare il «cannone» che ha l'obbligo di portare con sé?
Riassumiamo per sommi capi il fatto. Tre giovanotti (un latitante, un pregiudicato e un incensurato) sfrecciano, ovviamente senza casco, su uno scooter. I carabinieri individuano i due che hanno problemi con la giustizia e cercano invano di fermarli. Scatta automaticamente l'inseguimento. Prima domanda: ai militari conveniva lasciar perdere? Forse sì. Nell'eventualità però sarebbero venuti meno al loro compito. Essi, nonostante fossero in servizio ben oltre l'orario, hanno deciso di non abbandonare il lavoro e rincorso i balordi. I quali, in un tentativo maldestro di seminarli, hanno cambiato bruscamente direzione di marcia e sono finiti gambe all'aria. Rialzatisi da terra, sono scappati a piedi, imbattendosi però in una seconda «gazzella».
Quello che succede da qui in poi non è chiaro. Si sa soltanto che il latitante riesce a dileguarsi, il pregiudicato viene catturato e l'incensurato, centrato in pieno petto da un proiettile, cade senza vita. In frangenti come quello descritto è arduo accertare subito la verità. Comunque il carabiniere indicato quale responsabile dell'omicidio afferma che, nella concitazione, il colpo gli è partito inavvertitamente. Gli si può credere o no. Indubbiamente i militari, in determinate situazioni, sono emotivamente eccitati e preoccupati più della propria pelle che non di quella di coloro che intendono fermare. Bisogna tenerne conto.
Pare che sul luogo della tragedia sia stata recuperata una pistola giocattolo. Di chi era? Della vittima o di altri? Lo si scoprirà, speriamo.
Intanto valutiamo alcuni aspetti. Non è lecito stare in tre su uno scooter. Non è lecito farlo senza casco. Non è lecito infischiarsene dell'alt comandato dai militari. Inoltre, sul mezzo a due ruote non sedevano tre boyscout, ma due mariuoli (da cui ci si poteva aspettare di tutto) più un signorino sconosciuto, teoricamente un santo, oppure un delinquente: i carabinieri non erano in grado di verificarlo lì per lì.
Fuga, più inseguimento, più capitombolo hanno creato un pandemonio nel quale era improbabile che i tutori dell'ordine mantenessero un atteggiamento flemmatico. Se nel trambusto un appuntato si è spaventato e ha sparato non è bello, ma neppure strano. Secondo aspetto: il ragazzo deceduto, Davide Bifolco, un minore, che ci faceva alle 2.30 di notte in compagnia di due teppistelli e in un quartiere malfamato? Immaginava di farla franca avendo forzato un posto di blocco su un motorino con due malviventi (e sorvoliamo sulla questione dei caschi)?
Va da sé che tutto questo non autorizzava la pattuglia ad aprire il fuoco e ad ammazzare un cristiano. Ma vogliamo dire che le premesse per provocare un guaio c'erano tutte? E allora non si giustifica la protesta violenta scoppiata a Napoli, con tanto di mezzi dell'Arma e della polizia incendiati, manifestazioni di odio nei confronti di agenti e militari. Significa che parte della cittadinanza si schiera più volentieri con chi infrange la legge che non con chi è costretto per dovere d'ufficio a farla osservare.
E ciò spiega meglio di un saggio sociologico perché in alcune zone d'Italia la camorra, la 'ndrangheta, la mafia eccetera siano inestirpabili: esse in effetti godono di grande popolarità e sono più stimate delle forze dell'ordine, le quali talvolta vengono addirittura ritenute nemiche della popolazione.Se il tessuto sociale è talmente corrotto da alimentare il tifo a favore della criminalità e contro i carabinieri, non c'è speranza. Dispiace per Davide Bifolco, ma dispiace anche constatare che il Paese è ridotto così.
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