Non c'è solo la generazione degli anni Ottanta, quella che a riposo potrà mettersi dopo aver superato i tre quarti di secolo, a non avere futuro. C'è chi sta peggio, perché ad un contratto quale che sia non può aspirare per definizione, e neppure fa notizia. Se Tito Boeri, dal ponte di comando dell'Inps, aveva lanciato l'allarme per i trentenni di oggi destinati a non avere certezze domani, la Cisl scoperchia il pentolone dei voucheristi. Il ministro Poletti credeva di poter rendere digeribile la minestra garantendo la tracciabilità dei buoni lavoro. Come aggiungere acqua alla pasta salata. Il centro studi della Cisl Veneto va dritto al sodo: per chi campa di voucher la pensione arriverà a circa 150 anni di età dopo 126 anni e 6 mesi di fatiche, in cambio di un assegno mensile di 673 euro. Che sarebbe poi pari alla pensione sociale maggiorata.
Una boutade mediatica? Tutt'altro: un ragionamento svolto sulla base dei dati forniti dall'istituto previdenziale. Il punto di partenza è il voucher: introdotto nel 2003 con la legge Biagi per disciplinare le prestazioni occasionali di tipo accessorio, nel 2008 è stato esteso al settore vitivinicolo. Nel 2010 la Finanziaria ne ha allargato l'ambito ai campi del lavoro domestico e del porta a porta. Quindi il boom, targato Fornero: nel 2012 il governo dei professori elimina ogni vincolo sulle attività e toglie di mezzo il riferimento all'occasionalità. Quel che manca per completare l'universalità del sistema, cioè l'innalzamento dei limiti dei compensi a 7.000 euro netti annui, lo porta con sé il Jobs act di renziana fattura. Risultato: dalle 24.437 persone retribuite con ticket orario nel 2008 si è passati, nel 2015, alla cifra mostruosa di 1.392.906, il 31% delle quali under 25. In totale, 114 milioni di buoni. Soltanto in Veneto, la regione nella quale la pratica è più diffusa, nel periodo considerato ne sono stati acquistati oltre 15 milioni.
Non è un caso, allora, che proprio dalle terre venete parta l'offensiva della Cisl, da aprile impegnata in una mobilitazione alimentata dagli esiti della ricerca effettuata. «Un voucher ricorda il segretario regionale cislino Onofrio Rota vale 10 euro: il 13% se ne va in contributi previdenziali, il 7% nelle casse dell'Inail, il 5% finanzia i costi del servizio». Al lavoratore restano, puliti, 7 euro e 50. Non certo uno scialo, ma l'insidia peggiore è nascosta nei cespugli della previdenza. «Con le soglie attuali aggiunge Rota chi viene remunerato esclusivamente tramite voucher anche al massimo consentito, per maturare i requisiti minimi per la pensione con il sistema contributivo dovrebbe lavorare per 126 anni e mezzo». Una prospettiva evidentemente insostenibile, a meno di non conquistare l'immortalità. Per questo la Cgil corre verso il referendum abrogativo. La Cisl punta invece alla lievitazione (dal 13 al 27%) della contribuzione, con inevitabile taglio tuttavia del salario orario o, in alternativa, con ricarico del maggior costo pensionistico sugli imprenditori.
Nel mezzo, maciullati, gli invisibili. La generazione dei voucheristi, senza stipendio né pensione. Diventassero invalidi sul lavoro, di euro ne prenderebbero 16.000 l'anno. C'è chi giura che più d'uno ci stia pensando.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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