Chiusi dal governo di Tripoli tre centri di detenzione

Accolta la richiesta dell'Onu: liberati circa 1.500 reclusi (tra cui donne e bambini). Pronti a salpare

Chiusi dal governo di Tripoli  tre centri di detenzione

Il ministro dell'interno di Tripoli, Fathi Beshaga, ha ordinato la chiusura di tre centri di detenzione liberando fra i 1.000 e 1.500 migranti. Uno è quello bombardato di Tajoura agli inizi di luglio da dove erano già state liberate 350 persone. A bordo della nave Alan Kurdi, al largo di Lampedusa, ci sono due sopravvissuti, che sono subito salpati su un gommone per arrivare in Italia.

I tre centri che chiuderanno i battenti sono tutti fuori della capitale dove ne rimangono attivi almeno quattro. Il vero problema è che le strutture di detenzione governative ancora in piedi sono piene ed i migranti intercettati dalla Guardia costiera cominciano a non venire più internati una volta riportati indietro. Il risultato è che il ministero della Difesa, che controlla le unità navali, protesta con il dicastero dell'Interno. E gli equipaggi cominciano a considerare inutile la caccia ai gommoni.

I centri chiusi oltre a Tajoura sono quelli di Al Khoms e Misurata. Il primo era stato bombardato nella notte fra il 2 e 3 luglio provocando la morte di 53 migranti e il ferimento di 110. Tajoura è una roccaforte governativa bersaglio delle truppe del generale Haftar che arrancano, ma non mollano la morsa attorno a Tripoli. Nel centro erano detenuti 700 migranti.

Al Khoms è uno dei principali hub di partenza dei trafficanti, assieme a Garabulli ad est di Tripoli. Misurata, non molto distante, è la Sparta libica che garantisce con le sue milizie la sopravvivenza militare del governo Serraj. In gennaio fra Khoms e Misurata erano detenuti 930 migranti. A fine giugno i numeri ufficiali del centro di Kararim di Misurata contava 243 persone, ma spesso non vengono registrati tutti gli arrivi. Secondo l'Iom, la costola dell'Onu per le migrazioni, i migranti detenuti in Libia sarebbero solo 2777, ma i dati si riferiscono a 15 centri su 24 che dovrebbero essere ancora funzionanti anche in zone non controllate dal governo. Si stima che il numero reale sia di 5.000-6.000 internati, che rappresenta appena lo 0,1% dei 641.398 migranti presenti nel paese. In gran parte sono liberi anche se a rischio arresto e senza documenti. A Tripoli li incontri nelle piazzette e sotto i cavalcavia in attesa di un ingaggio quotidiano per lavori nell'edilizia o di fatica. Solo nella capitale sono oltre 120mila.

L'inviato speciale delle Nazioni Unite in Libia, Ghassan Salamè aveva chiesto la chiusura di tutti i centri di internamento dei migranti. Ieri le Ong impegnate in Libia hanno ribadito che «i centri devono essere chiusi e alle persone che sono trattenute vanno offerte alternative sicure e legali.

I più a rischio vanno urgentemente evacuati dalle Nazioni unite verso paesi sicuri e, per questo, è necessario che le quote di riallocazioni in Europa siano aumentate». Nessun cenno ai rimpatri volontari a casa loro che l'Iom stava organizzando dai centri di detenzione. Nel 2018 sono stati quasi 17mila, ma solo 4829 quest'anno a causa dello scoppio ad aprile della guerra civile. FBil

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