Dire «c'eravamo tanto odiati» potrebbe risultare banale. Ma è la verità. Prima del corteggiamento di questi ultimi giorni, il rapporto tra il Movimento 5 stelle e il Partito Democratico si è sempre basato sull'odio.
Cinque anni, dall'entrata in Parlamento dei grillini, di insulti, attacchi personali e parole usate come una clava. Beppe Grillo nel 2009, quando il M5s era un embrione, aveva chiesto di partecipare alle primarie dem. L'iniziativa era provocatoria e il comico si era beccato una bella porta in faccia dai pezzi grossi del Nazareno. Con tanto di «profezia» di Piero Fassino: «Si faccia un partito, vediamo quanti voti prende». Grillo, poi, si è fatto il Movimento e sono cominciate le randellate. Già nel 2007 il comico genovese parlava di Walter Veltroni come di un «Topo Gigio». Ma il bersaglio preferito del guru pentastellato è Matteo Renzi, soprannominato «l'ebetino». Oppure, a dicembre del 2016, la «scrofa ferita». E ancora «il nulla che parla», «minorato morale». A fine marzo 2015, strumentalizzando la tragedia dell'aereo della Germanwings caduto sulle Alpi, era la deputata Laura Castelli a piazzare il carico da novanta: «Il governo Renzi ha ucciso più di 150 persone». Una selva di insulti. A febbraio Luigi Di Maio ha definito il Pd «Impresentabile per sua stessa natura». Accusando i dem «di aver preso soldi da Buzzi e da Mafia Capitale». Le performance di Alessandro Di Battista, nell'ultima campagna elettorale, sono state ancora più sorprendenti: «Il Pd è un punto di riferimento del crimine». Ma anche «una banca che gestisce i nostri soldi in modo torbido». E la Boschi candidata in Alto Adige? Per Dibba è «un rifiuto politico».
L'odio è ricambiato. Il campione dell'insulto al grillino è il governatore campano Vincenzo De Luca. Memorabile un video nel quale definiva Di Maio, Di Battista e Fico «tre mezze pippe». L'ultima prodezza di De Luca è il dito medio rivolto ai grillini in consiglio regionale, a fine dicembre, con tanto di considerazione colorita: «Non siete neanche capaci ad innaffiare un albero di Natale». Lo «sceriffo» di Salerno, nel 2015, apostrofava Di Maio come uno «sfaccendato». Renzi sbeffeggiava i Cinque Stelle come «quelli che si preoccupano delle scie chimiche». L'ex segretario dem ha puntato tutto sull'incoerenza grillina. Così diceva a luglio 2017: «I Cinque Stelle un giorno vogliono uscire dall'euro, il giorno dopo vogliono entrare nello stesso gruppo di Mario Monti». E ancora lo sberleffo: «Sono preoccupato che vada a gestire la politica estera chi ha dei dubbi sull'allunaggio». La new entry del Pd Carlo Calenda, il 7 febbraio 2018 si lasciava andare dando a Di Battista del «cialtrone» in diretta tv ospite della trasmissione di La7, L'Aria che tira. Ettore Rosato, durante la discussione sulla legge elettorale alla Camera, si era sfogato: «La loro parola (del M5s ndr) non vale nulla». Tra gli sponsor dem del «dialogo con i 5 Stelle» i toni sono un po' più morbidi. Ma si scopre che proprio Dario Franceschini, dal quale ieri è arrivata l'apertura più esplicita a Di Maio, soltanto a gennaio scorso la pensava in modo molto diverso.
A Otto e Mezzo, discutendo con Tomaso Montanari, l'allora ministro dei Beni Culturali diceva: «Di Maio è un ragazzo senza alcuna esperienza professionale e politica. E ora si candida a governare il Paese. Ma come si può? Poi succede come con la Raggi a Roma». Come si cambia, per non morire.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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