Ferrara «I responsabili dei budget della banca negli ultimi tempi facevano enormi pressioni sugli addetti alla vendita dei titoli. Sono arrivati anche a minacciare di trasferirli in sedi lontane e periferiche». Anna, il nome è di fantasia, è una dipendente della CariFerrara, una delle banche finite nell'occhio del ciclone. Ci chiede l'anonimato per proteggere il suo posto. Ha paura di subire ripercussioni raccontandoci quello che è successo nelle sedi della popolare emiliana i giorni precedenti al salva banche di Renzi.
«In filiale - racconta Anna - la sensazione era che lo Stato sarebbe intervenuto a salvare l'istituto. Per questo non si sono fatti molti scrupoli a vendere, oltre che alle azioni, anche le obbligazioni subordinate. Eravamo certi, insomma, che il governo avrebbe tutelato i piccoli investitori». Uno scaricabarile. «Più o meno. Come a dire: tanto ci penserà qualcun altro...». Ovvero, lo Stato e i contribuenti. La direzione della banca aveva dato indicazioni precise ai suoi dipendenti: piazzare il numero più alto possibile di obbligazioni. Anche se era chiaro questo potesse esporre i clienti al pericolo di perdere le somme investite. «Dire che chi realizza i budget non fosse a conoscenza dei rischi potenziali - aggiunge Anna - mi sembra un paradosso».
Eppure, i titoli spazzatura sono continuati a confluire dalle casseforti delle filiali ai risparmiatori. I quali, ignari, si sono fidati dei loro direttori. Per definire le responsabilità, però, è necessario guardare in alto. Ai manager bancari. «Nelle varie filiali - assicura Anna con la voce quasi rotta - ci siamo sentiti spiazzati». Poi però torna con la mente ad un aneddoto che dopo le ultime vicende ha assunto nuovi colori: «Poco tempo fa, il mio direttore invitò alcuni clienti a spostare i loro risparmi su altre tipologie d'investimento, sconsigliando di buttarsi sui titoli subordinati della CariFe». Una mossa che non è piaciuta ai superiori. «Qualche giorno dopo è stata inviata una circolare d'area in cui si rendeva noto che era stato registrato questo episodio ritenuto molto negativo. In pratica una circolare di richiamo».
A quanto ci racconta Anna, la circolare non è stata recapitata direttamente a chi si era permesso di schierarsi dalla parte dei clienti: «Ma era evidente - precisa - che l'indirizzato fosse proprio lui. E un richiamo simile non è una cosa da nulla. Dopo aver ricevuto la notizia del decreto governativo, lo stesso direttore si è ripromesso che nella nuova CariFe non avrebbe più venduto i subordinati ai suoi clienti». Le stranezze non finiscono qui. I dipendenti dell'istituto di credito sono allo stesso tempo ingranaggi e vittime del sistema. «Dopo l'assunzione - racconta Anna - vengono fatte forti pressioni per comprare azioni della CariFe. Anche se non si hanno capitali investiti o da investire. Chi non accetta può essere accusato di non credere nell'istituzione in cui lavora». E il richiamo, spesso, viene proprio da quegli addetti alla vendita dei titoli, costretti ogni mese a rispettare il budget: «Rifiutarsi può avere ripercussioni sul posto di lavoro, soprattutto sulla carriera interna».
Anna ci tiene a precisare che molto dipende dalle persone con cui si ha la fortuna (o la sfortuna) di trattare: «Alcuni sarebbero disposti a vendere spazzatura anche alle loro madri pur di piazzare prodotti bancari e mettersi i soldi in tasca. Altri, invece fanno onestamente il loro lavoro ma poi si beccano la circolare di richiamo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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