Colle irritato con il M5s: niente voto a giugno Idea governo di tregua

Il Colle esclude il ritorno alle urne e non risponde a Di Maio. Il piano B: una figura terza con pochi compiti mirati

Colle irritato con il M5s: niente voto a giugno Idea governo di tregua

Sì, ci mancava solo Luigi Di Maio: «Andiamo al Quirinale - minaccia il candidato premier grillino - e chiediamo di andare a votare subito». Al Colle c'è irritazione. Non bastava la difficoltà di far partire il dialogo tra partiti che non si vogliono nemmeno parlare, non era sufficiente il «gioco dei veti incrociati» che sta bloccando i tentativi di Sergio Mattarella di mettere in piedi un governo. Ora ci si mette pure il leader di M5s: per due mesi è stato responsabile e irreprensibile, ora anche lui «interferisce» con le prerogative presidenziali. Ma se il pressing di Matteo Salvini per le elezioni anticipate, nei giorni scorsi, era stato accolto con «stupore», l'analoga richiesta di Di Maio viene rimbalzata senza nemmeno una risposta. Tanto in estate non si vota. Piuttosto nel palazzo dei Papi si stanno attrezzando per il piano B: un governo di tregua.

La finestra elettorale infatti è già chiusa. In teoria, e andando molto di corsa, fino al 9 maggio ci sarebbe ancora margine per rimandare a casa tutti i parlamentari e riportare il Paese alle urne il 24 giugno: la Costituzione prevede che tra lo scioglimento delle Camere e l'apertura dei seggi debbano passare tra i 45 e i 70 giorni. In realtà da quando vige la legge Tremaglia sul voto degli italiani all'estero quegli oltre due mesi servono tutti o quasi per assicurare una corretta partecipazione dei nostri connazionali. Senza contare che, prima di fare qualunque mossa, il capo dello Stato deve aspettare che il fallimento della trattativa tra Cinque stelle e Pd, affossata in pochi minuti da Matteo Renzi in tv, venga ratificato dall'assemblea nazionale dem il 3 giugno. E dopo è previsto un altro giro di consultazioni sul Colle.

Quindi prima dell'autunno non se ne parla proprio. La data tecnicamente più vicina è domenica 23 settembre: a Mattarella basterebbe sciogliere il Parlamento a metà luglio. Anche questa soluzione però, agli occhi del presidente, presenta delle forti controindicazioni. D'estate, si sa, non si può votare perché la gente parte, si muove, va al mare e ci sarebbe un vasto e irregolare astensionismo che gli esperti definiscono «a macchia di leopardo» e che condizionerebbe il risultato. In autunno invece c'è il problema dei problemi, la legge di bilancio.

Con il passare del tempo - siamo quasi a due mesi dal 4 marzo - e l'accumularsi seriale dei flop politici, al presidente restano ormai poche carte. Il centrodestra vuole un incarico a Salvini per un governo di minoranza, ma il capo dello Stato è contrario a mandati al buio. L'ultimo asso sembra essere quella del governo di tregua, guidato da una personalità «terza», fuori dalla politica, capace di coagulare largo consenso con obiettivi minimi ma sufficienti per non risvegliare le speculazioni. Questo esecutivo dovrà varare una Finanziaria, evitando che scattino le clausole di salvaguardia che prevedono l'aumento automatico dell'Iva, e restare in carica fino all'inizio del 2019. Certo, un'operazione difficile, Monti non ha lasciato buoni ricordi e i vincitori di marzo preferiscono rivotare in fretta. Mattarella proverà comunque a convincerli, si tratta di aspettare un paio di mesi in più che potrebbero essere usati per modificare la legge elettorale. Altrimenti ci troveremo con la stessa ingovernabilità di oggi.

Somiglia

parecchio all'esecutivo delle regole lanciato da Renzi. E chi andrebbe a Palazzo Chigi? Non Paolo Gentiloni: regge la baracca per l'ordinaria amministrazioni ma per il Colle è lo yogurt scaduto della vecchia legislatura.

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