Fa strano, e stringe anche un po' il cuore, vedere la destra italiana scodinzolare festante ai piedi di Nicolas Sarkozy celebrandone la rinascita, dopo tre anni di sconfitte e processi, alle amministrative dell'altro giorno. Che smemoratezza, che dabbenaggine; che connerie , direbbero stavolta giustamente i francesi, ricordando il sorrisetto di sufficienza che monsieur, emergendo di un palmo dal leggio che aveva davanti si scambiò con la Merkel, nell'ottobre di 4 anni fa, a un vertice europeo. Obiettivo del loro sberleffo era l'affidabilità di Silvio Berlusconi. Possibile che abbiano già dimenticato, i cuorallegri della destra, che quella risatina, intrisa della stessa arrogante condiscendenza che di solito si riserva al babbeo del quarto banco era rivolta in quel momento al premier di tutti gli italiani, compresi quelli che per Berlusconi non voterebbero neppure sotto tortura?
Ah, le mille facce di monsieur le président . E come gliele perdonano tutte! C'era una volta un Nicolas Sarkozy che faceva venire in mente -scrivemmo una volta - la pubblicità di una famosa marca di pile. Quella in cui si vedeva un orsetto tamburino che trottava instancabile - il sorriso sfacciato dei vincenti stampato sul volto - distaccando tutti gli altri animaletti che lo seguivano. Meglio la versione più umana: quella del Sarkozy amareggiato, depresso, svogliato che seguì la sua trombatura alle ultime presidenziali. La sconfitta non gli si addiceva, ma aggiungeva una nuance di simpatia al suo insopportabile ghigno da capoclasse. Erano i giorni in cui, come i Blair, i Clinton, i Kissinger e altri potenti a fine corsa anche lui si apparecchiava una carriera di ripiego, fatta di conferenze, di libri da scrivere, di Paesi del Terzo Mondo da percorrere con la mano benedicente, a far l'inviato dell'Onu come una qualsiasi Angelina Jolie. E invece.
Dimenticano, gli entusiasti nostrani, l'ira di Berlusconi nei confronti di Sarkozy che voleva bombardare unilateralmente la Libia di Gheddafi? Hillary Clinton ne parla diffusamente nel suo libro Hard choices descrivendo un Berlusconi «furibondo» al tavolo del vertice di Parigi, nel marzo del 2011, tanto da minacciare «l'uscita dell'Italia dalla coalizione e la chiusura delle basi militari del suo Paese».
Al colonnello Gheddafi - mai abbastanza rimpianto, come Saddam Hussein, del resto - ci legava un trattato di amicizia. Vinse il bellicismo di Sarkozy, che per imporre quella vile, impari bastonatura aveva due buoni motivi: uno personale, ovvero il bisogno di un gesto eclatante, capace di far riprendere quota al grave calo di consenso. L'altro era di tipo economico, visto che le aziende francesi, Total in testa, stavano perdendo terreno in Nord Africa a vantaggio proprio dell'Italia. Gonfio e tronfio come un tacchino - la postura che meglio gli riesce, anche in fotografia - Sarkozy ebbe in quell'occasione la faccia tosta di comunicare agli alleati che aveva dato l'ordine di attaccare dopo che i suoi Mirages erano già decollati.
Le dirompenti conseguenze di quella decisione, con le bandiere del Califfato che sventolano a 350 chilometri dalle nostre coste, avrebbero fatto a brandelli qualsiasi politico. Non Sarkozy, che ora, dopo quelli dei francesi, incassa anche i demenziali, incomprensibili applausi della destra italiana.
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