Accontentata la Grecia. Un successo per la Polonia e gli altri paesi dell'Est. I padroni di casa italiani si devono invece accontentare di avere reso felici i leader europei con una giornata di sole romano. O poco più. Al di là della cerimonia c'è il merito della Dichiarazione di Roma, il documento che arriva 60 anni dopo i Trattati di Roma, con l'intento di rilanciare l'Ue.
Due pagine che a prima vista sembrano una raccolta di progetti di buon senso e - a detta degli europeisti doc - poco coraggiose, ma che celano un complicato lavoro diplomatico che ha vincitori e vinti.
In generale c'è l'intenzione di rendere l'Unione «più forte e più resiliente», quindi in grado di reggere ai traumi come la Brexit o l'indisciplina di alcuni stati. Per dirla con il presidente della Commissione Jean Claude Juncker l'Ue arriverà a «festeggiare i 100 anni». Il come è un altro discorso.
Il progetto dell'Europa a due velocità sfuma. Nel documento si usa l'espressione «Unione indivisa e indivisibile». Concetto all'apparenza neutro, ma che rappresenta un compromesso vinto dagli stati dell'Est che rischiavano di essere messi ai margini. In particolare quelli che si rifiutano di accogliere i migranti che approdano in Italia o in Grecia. Il premier Gentiloni ieri ha più volte sottolineato come serva procedere con «cooperazioni rafforzate», che è il termine tecnico dell'Europa a due velocità secondo i trattati in vigore. Ma nel testo non compare neanche questa espressione. Non è un caso che il documento abbia messo d'accordo due nemici giurati, come il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e la premier Beata Szydlo, entrambi polacchi. Il primo ha detto chiaramente no alle due velocità e la seconda ha minacciato fino all'ultimo di non firmare.
Sull'immigrazione gli impegni sono molto vaghi. Il documento chiede un'Europa in cui «le frontiere esterne siano protette, con una politica migratoria efficace». Nessun cenno al ricollocamento dei migranti né alla revisione della prassi che vuole l'Italia come destinazione di tutti i migranti salvati nel Mediterraneo.
Persino il capitolo dell'Europa sociale nasconde un compromesso poco coraggioso. L'Ue favorisce diritti e opportunità, la «coesione e la convergenza» del welfare anche se - e questo è il passaggio chiave - tiene «conto della diversità dei sistemi nazionali». In breve: il capitolo sul sociale era una condizione per il sì di Alexis Tsipras, premier greco di ultrasinistra. Ma non dispiaceva nemmeno a noi o alla Germania, visto che uniformare le tutele sociali, ad esempio sul lavoro, significherebbe limitare la concorrenza dei paesi dell'Est, che hanno meno tutele e costi del lavoro più bassi.
Le specificità nazionali sono salve grazie al pressing dei paesi dell'Est, che non vogliono perdere questo vantaggio. Chi ne subirà le maggiori conseguenze, con delocalizzazioni di imprese, saremo soprattutto noi italiani.
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