Quarantaquattro anni di carcere. Quarantaquattro anni da scontare. Quarantaquattro anni di galera per reati gravissimi: omicidio, distruzione di cadavere, truffa, circonvenzione di incapace, rapina. Un conto interminabile. Ma Massimo Remorini è libero. Circola tranquillamente per Viareggio e non è sottoposto ad alcuna restrizione: nemmeno una firma in caserma. Un record anche nell'Italia abituata ad una giustizia colabrodo e alla non certezza della pena. Un primato che fa venire i brividi e fa scricchiolare tutto l'edificio della giustizia italiana: ci si chiede, con tutta la prudenza del caso, che credibilità possa avere un sistema che funziona a singhiozzo, arriva in ritardo, col fiatone, su vicende terribili, eroga condanne astronomiche ma virtuali. In orbita, chissà dove, in attesa di un verdetto definitivo che arriverà quando arriverà.
Il cittadino medio magari incrocerà il pericoloso assassino, presunto per carità, a passeggio per la città e si convincerà fatalmente che tutto l'apparato su su fino alla lotta alla corruzione e al malaffare e alla criminalità dei colletti bianchi, sia una finzione. Un'astrazione, come certe formule matematiche. Incomprensibili. Buone solo per le teorie, i convegni e i discorsi delle autorità.
Per carità, la storia è perfettamente in linea con il nostro sistema giudiziario: le condanne di Remorini sono tutte di primo grado, in teoria i processi d'appello potrebbero ribaltare i precedenti verdetti e in ogni caso in Italia, come si sa, vige la presunzione di innocenza. Scolpita nella Costituzione. Una persona, fino al verdetto finale della Cassazione, non può essere considerata colpevole. Nemmeno lui, un cinquantottenne dal certificato penale enciclopedico. Non importa. Nel nostro Paese si va in cella, in custodia cautelare, che è cosa ben diversa dalla pena definitiva, solo in tre casi: pericolo di fuga, inquinamento delle prove, rischio di reiterazione del reato. In effetti la scorsa estate dopo la sentenza che l'aveva condannato a 30 anni per la morte di Velia Carmazzi e Maddalena Semeraro, la procura di Lucca, preoccupata, si era rivolta alla Corte d'assise chiedendo il carcere e motivandolo con il pericolo di fuga. I giudici hanno detto di no: il pericolo è solo teorico e anzi in concreto non è dimostrabile. Remorini ha partecipato alle udienze del processo che lo riguardava; anzi nel corso del dibattimento è stato pure ammanettato per un'altra vicenda, una rapina in banca a Imola, poi dopo un periodo di detenzione preventiva è ricomparso in aula. Insomma, non ci sarebbe alcun elemento per sostenere che possa darsi alla macchia.
Ora, pochi giorni fa, a Bologna, ecco il verdetto per l'altra storia: altri 6 anni che si sommano ai precedenti 38 portando il totale alla stratosferica cifra di 44 anni. Ma il cumulo, almeno al momento, è teorico.
«Capisco la sua sorpresa e anche il suo disagio - afferma l'avvocato Massimo Landi, difensore di Remorini - ma non mi pare che si possano sommare le due vicende, sarebbe come mettere insieme mele e pere». Così questo signore continua ad abitare in una casa popolare di Viareggio e circola tranquillamente in città. Certo, il cielo sopra di lui promette una tempesta di anni e anni di galera, ma i conti si faranno alla fine. E nessuno è in grado di stabilire quali saranno i tempi. «Remorini si è sempre comportato correttamente - prosegue Landi -, aspettiamo i due processi d'appello, poi, eventualmente il passaggio in Cassazione». Chissà. Forse ci vorrà un anno e forse anche due. Il calendario è quello che è, la vicenda che riguarda la morte delle due donne, figlia e madre, si trascina dal 2010, i corpi non sono mai stati trovati, la storia è stata analizzata più volte in tv da «Chi l'ha visto?», il caso resta oscuro e controverso.
Ma resta il fatto che l'opinione pubblica, già disorientata, non può non essere sconcertata dall'incredibile susseguirsi degli avvenimenti che hanno per protagonista l'uomo: nel 2010 le due signore, che vivono in un contesto di degrado in una roulotte di Torre del Lago Puccini, frazione di Viareggio, spariscono nel nulla. Dopo qualche mese, l'indagine, partita in ritardo, approda a Remorini, un piccolo imprenditore dal lungo curriculum, con numerose condanne per furto e reati finanziari. Remorini aveva fatto da mediatore, convincendo le donne a vendere le loro due case fra Viareggio e Torre del Lago. Poi avrebbe trovato loro una sistemazione precaria, fra un camper e una roulotte, in un campo di Torre del Lago. Il sospetto è che alla fine le abbia eliminate. Nel 2011 lo arrestano, seppellendolo sotto una valanga di accuse. Resta in cella sei mesi, poi esce per decorrenza dei termini. Con calma si arriva infine al processo e l'anno scorso alla condanna: 30 anni più altri 8 per il capitolo finanziario. Totale 38 anni, ma la difesa non è del tutto insoddisfatta: Remorini ha schivato l'ergastolo. È stato condannato per omicidio volontario ma solo per Velia Carmazzi.
Per la fine della madre Maddalena Semeraro i giudici scelgono una strada più complessa: lo condannano per morte come conseguenza di altri reati.Nel corso del processo spunta la rapina di Imola, avvenuta il 17 febbraio 2014. La sentenza arriva pochi giorni fa. Il pallottoliere dev'essere aggiornato. Ma Remorini resta un uomo libero.
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