Sull'articolo 18 non ci sarà un referendum che poteva rendere più urgente il voto anticipato. La Corte Costituzionale boccia il quesito della Cgil per cancellare le norme del Jobs Act che prevedono per i licenziamenti illegittimi un indennizzo invece del reintegro nel posto di lavoro.
Dichiara invece ammissibili gli altri due quesiti, sull'abrogazione dei voucher e sulla responsabilità solidale in materia di appalti. Due questioni sulle quali il parlamento può facilmente intervenire, scongiurando la chiamata popolare alle urne.
Tra i 13 giudici (ieri c'è stata una fumata nera in parlamento per sostituire il dimissionario Frigo e mancava per motivi di salute Criscuolo) ha dunque prevalso quello che è stato chiamato il «lodo Amato», promosso dal Sottile Giuliano, mentre la relatrice Sciarra avrebbe ammesso il quesito sull'articolo 18.
L'orizzonte della legislatura sembra ora più lungo perché, come ha ammesso il ministro del Lavoro Poletti, un ok della Consulta sul più politico dei punti esaminati avrebbe accelerato il processo per la legge elettorale, che attende il responso sulla costituzionalità dell'Italicum il 24 gennaio. Elezioni entro l'estate, infatti, farebbero slittare il referendum alla primavera 2018, ricorda il presidente Pd Matteo Orfini.
Matteo Renzi non commenta, ma al Nazareno si tira un sospiro di sollievo. Perché, se l'ex premier vuole elezioni anticipate, non ha poi così fretta e una bocciatura del cuore del Jobs Act avrebbe danneggiato la sua immagine, aggiungendosi alla batosta del referendum sulla riforma Boschi. Dunque, «è una buona notizia», commentano i fedelissimi del segretario Pd. E Lorenzo Guerini, prendendo atto «con rispetto e grande soddisfazione» del verdetto, dice che così si potrà «proseguire il percorso di riforma del lavoro». Certo, per i renziani, «c'è un ulteriore ostacolo alla via del voto».
Incassa il colpo il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, e annuncia che il sindacato valuterà un ricorso alla Corte Europea. Da ogni parte l'accusano di aver formulato male il quesito, in modo «manipolativo» e non «abrogativo» della legge. Di aver voluto troppo, pretendendo di tornare al passato ed estendere il divieto di licenziamento delle aziende sopra i 15 dipendenti a quelle con più di 5. Adesso la Camusso, criticata anche da L'Unità, chiede al parlamento «modifiche radicali» sui voucher, ma è un ripiego.
Il quesito sull'articolo 18 era «geneticamente inammissibile, essendo di fatto innovativo», commenta il capogruppo di Fi in Commissione Affari costituzionali della Camera, Francesco Paolo Sisto. Invita a non «inneggiare alla correttezza delle scelte del governo Renzi né a parlare di sentenza politica».
È il termine che usa il leader leghista Matteo Salvini, definendo la decisione «gradita ai poteri forti e al governo» e preannunciando un presidio sotto la Consulta alla vigilia del verdetto sull'Italicum. Eppure, Roberto Calderoli parla di sentenza «prevedibile e condivisibile». Come dice Sisto, gli effetti politici della sentenza sul Jobs Act sono «indiretti, sui tempi per la nuova legge elettorale». Una riunione dei capigruppo alla Camera è già fissata subito il 24 gennaio, per fissare le nuove regole per il voto.
Commenta Roberta Lombardi del M5S: «Consulta boccia #Referendum su #art18. Ok, si vota nel 2018 quindi. #poverapatria». Per Pier Luigi Bersani ora deve lavorare il parlamento, ma «i governi vivono finché lavorano» e quello Gentiloni ha «tanto da fare».
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