N on poteva essere condannato per un reato, il concorso esterno in associazione mafiosa, poco chiaro prima del 1994, ma è stato condannato e per otto anni, tra carcere e detenzione domiciliare, è stato privato della libertà. La pena, Cassazione dixit accogliendo il dettato della sentenza europea, era «ineseguibile», ma il verdetto è arrivato dopo che è stata eseguita e che lui l'ha scontata. Quella sentenza di condanna appena revocata dalla Suprema corte non doveva avere effetti penali, ma è stato destituito dalla Polizia, ha perso lo stipendio e gli è stato tolto il diritto di voto.
Giustizia è fatta. Ma ingiustizia pure. Perché per un Bruno Contrada che ha subìto quanto riassunto sopra non c'è nessuno che paga. Sì, dopo il verdetto europeo del 2015 Contrada ha ricevuto (dallo Stato italiano) 10mila euro solo per i danni morali. Ma chi ha sbagliato come i giudici? Quelli che lo hanno condannato e quelli che hanno dichiarato inammissibile l'applicazione della sentenza europea? E i pm? Nulla. Neanche un centesimo di risarcimento. Neanche un mea culpa. Anzi, estrema beffa, la negazione della realtà.
È il caso del nemico giurato di Contrada, l'ex pm Antonio Ingroia, titolare dell'accusa nel processo di primo grado. Laddove, di fronte a un flop così clamoroso dopo 25 anni, sarebbe logico prendere atto, o magari attendere le motivazioni, lui no, va all'attacco. Anche se non è più pm. E sentenzia, irriducibile, con un articolo sul Fatto: Bruno Contrada è colpevole. «Questo punto fermo - scrive - non è stato per nulla intaccato dalla sentenza della Cassazione. È bene che sia chiaro a tutti e che non si cerchi di rovesciare la realtà. Perché, come da abusato copione, l'informazione e la politica ufficiale hanno subito brandito in modo indegno quella sentenza per proclamare l'innocenza di Contrada». Altro che scuse.
Ingroia si lancia in una requisitoria, bacchetta Cassazione e Cedu, e avverte: «Si rassegnino quelli che vorrebbero strumentalmente usare la sentenza della Cassazione, come già avevano tentato di fare con la pronuncia della Corte europea, per rimettere in discussione la condanna definitiva di Marcello Dell'Utri». Giustizia è fatta. Ingiustizia pure. Chi sbaglia, di solito, paga. Tranne i pm, in carica o ex. E i giudici. Nemmeno quando le sentenze dicono che no, il reato non c'era, ergo il processo non andava fatto.
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