La caduta dei falsi dei. Le figure simbolo della sinistra mondiale sono crollate una dopo l'altra, come dei pupazzi di neve al primo sole. Eppure per anni ci siamo sorbiti una sfilza di peana sul loro carisma, le loro capacità incommensurabili, la loro onestà al di là di ogni sospetto. Balle. Non solo erano politici come tutti gli altri, ma sono risultati addirittura peggiori delle aspettative, soprattutto perché coi loro annunci roboanti di new deal avevano illuso milioni di persone. E più uno cerca di salire furbescamente in alto, più è fragorosa la sua caduta quando il re è nudo. E di reucci, o presunti tali, la sinistra ne ha sfornati tanti. Guardiamo Oltralpe. Il presidente francese François Hollande è stato dipinto come l'uomo della riscossa progressista, che avrebbe ridato alla Francia crescita e smalto internazionale. Non è stato così. Appena eletto, aveva deciso di aumentare le tasse scatenando in tutto il Paese un'ondata di proteste, che lo hanno costretto a fare retromarcia. Poi ha gestito in maniera approssimativa e senza polso l'emergenza jihadista, che ha colpito più volte la Francia, dai massacri alla redazione di Charlie Hebdo e al supermercato ebraico fino alle stragi di Parigi nello scorso novembre. Il Paese si è risvegliato impaurito, insicuro e con una guida incerta. Ma i passi falsi sono tanti, non ultimo quello sulla riforma del lavoro che sta scatenando in questi giorni violente proteste in tutta la Francia e dividendo addirittura la sinistra. Il risultato? Un crollo senza precedenti della popolarità: solo 16 francesi su 100 dichiarano di aver fiducia nel presidente.
Ma in Europa ci sono stati altri miti osannati, come l'ex premier inglese Tony Blair e quello spagnolo Luis Zapatero. Che fine hanno fatto? Blair oggi è sparito dalla scena politica anche se ha ricoperto alcuni incarichi internazionali, rivelatisi però fallimentari, come quello di inviato per la pace in Medio Oriente. Decisamente di sinistra, ha scelto di dare una svolta al suo partito denominandolo New Labour e disegnando una terza via tra il neoliberismo dei conservatori e la politica assistenziale progressista. Ma il suo cambiamento è stato visto come un tradimento dei valori laburisti e se, dopo aver battuto i conservatori che governavano ininterrottamente da 18 anni, è stato accolto come un liberatore, dopo dieci anni di governo è stato costretto a dimettersi quando il suo partito ha visto perdere consensi mese dopo mese. Per Zapatero, invece bastano poche parole. Anche lui è stato un'icona della sinistra europea per la sua politica sulla famiglia, sulla fecondazione assistita, sulla clonazione, dividendo la Spagna. Ma l'ex premier si è superato nel non superare la crisi economica, portando il Paese sull'orlo del default. Prima ha aumentato pensioni e salari, poi li ha tagliati riducendo anche tutti i benefit per le famiglie. In compenso, però, voleva approvare una legge per il riconoscimento dei diritti civili delle scimmie.
Ma i veri simboli della sinistra mondiale sono quelli che hanno imperversato in Sud America. Come lo spento Fidel Castro, ormai ombra di se stesso, che assiste impotente al continuo smantellamento della sua revoluciòn. Il fratello Raul, infatti, ha aperto all'Occidente ma soprattutto al Grande Satana, gli Stati Uniti, che dopo anni di muro ora si trovano in una posizione privilegiata per investire a Cuba e per frustrare i sogni antiamericani dei castristi. In questa lista di divinità, non possiamo tralasciare l'ex presidente del Venezuela Hugo Chavez e il suo successore Nicolas Maduro. Osannati per la loro lotta senza quartiere al capitalismo e all'America, si sono sentiti investiti da una missione divina, tanto da diventare dei dittatori senza scrupoli, con manie di persecuzione e piuttosto stravaganti. Chi può dimenticare quando Chavez cambiò il fuso orario del suo Paese, o quando proibì la festa del Natale. Ma le vere chicche furono il fallimentare superamento dell'economia di mercato con il cosiddetto «socialismo petrolifero» e la decisione di togliere l'autonomia alla Banca centrale perché, che diamine, doveva essere il presidente a controllare i soldi dello Stato. Il suo successore Maduro nutre le stesse paranoie e sforna a getto continuo ordini e riforme che stanno mettendo in ginocchio il Paese. L'ultima trovata è di questi giorni, quando il leader bolivariano ha deciso di occupare le fabbriche che hanno interrotto la produzione e di arrestarne i proprietari. Naturalmente le aziende si fermano per la crisi e per le sue decisioni di impedire l'accesso alle valute straniere. Maduro però ha risposto con il pugno di ferro, dichiarando lo stato di emergenza, allertando l'esercito e ripetendo il solito mantra, tanto caro a Chavez, del «complotto americano». Ma c'è chi gli crede ancora, in casa come all'estero.
E chiudiamo con gli ultimi dei del pantheon progressista, anzi, marxista. L'ex presidente del Brasile Luiz Ignacio Lula da Silva e la sua figlioccia Dilma Rousseff. Il leader operaio, quello che ha fatto sognare un'intera nazione ed è stato eretto a simbolo del riscatto per milioni di poveri, è stato travolto dagli scandali. Un mito, in patria e fuori, che invece di difendere i più deboli ha pensato di arricchirsi a spese del Paese e dei lavoratori. Tangenti milionarie, villa di lusso e attici in regalo, favori per sé e per i suoi familiari. Il tutto in una congiuntura economica che ha visto il Pil del Brasile crollare in pochi anni, con un record di debiti e di disoccupazione.
E così non solo il Paese gli ha voltato le spalle, ma è addirittura sceso in piazza contro di lui e contro la presidenta Dilma, che ha fatto carte false per creargli uno scudo giudiziario. È finita al tappeto pure lei, dopo che le camere hanno approvato l'impeachment aprendo così la strada a una politica neoliberista dopo anni di marxismo in salsa sudamericana. La nemesi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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