Così la Fallaci sbugiardò Fo: "Fascista prima nero, poi rosso"

La giornalista in una intervista a Panorama: "Quelli come lui hanno torturato mio padre"

Così la Fallaci sbugiardò Fo: "Fascista prima nero, poi rosso"

Tra Oriana Fallaci e Dario Fo non correva buon sangue. Negli anni si scambiarono diverse accuse, il primo barricato su posizioni no-global, la seconda sempre controcorrente. Alla scrittrice fiorentina non piaceva «come giullare» e come autore «l'ho sempre bocciato». Inoltre fu lei a denunciarne il facile conformismo: «fascista nero» durante il Ventennio e «fascista rosso» quando essere di sinistra andava di moda.

La scintilla che fece scattare l'astio tra i due fu l'accusa che la moglie del drammaturgo rivolse alla Fallaci di fronte alla massa di no-global che nel 2002 invasero Firenze. In un articolo sul Corriere della Sera, Oriana aveva invitato suoi concittadini a dissociarsi dagli antagonisti violenti. Franca Rame e il premio Nobel dal palco la definirono una «terrorista». Nell'archivio storico di Panorama è possibile recuperare alcuni passaggi di una intervista alla scrittrice, raccolti in un lungo articolo dal titolo Oriana Fallaci risponde. «Franca Rame - le fece notare Riccardo Mazzoni - le ha dato della terrorista». «Già - rispose la giornalista - Dinanzi alla Basilica di Santa Croce, dal palcoscenico del comizio che ha aperto l'oceanico raduno. Sicché, quando la sua discepola cioè quella delle caricature è andata alla Fortezza da Basso con l'elmetto in testa, molti bravi-ragazzi l'hanno scambiata per me. Si son messi a ulularle Lercia terrorista, lercia terrorista. Del resto il marito della summenzionata ha detto che a Firenze io volevo i carri armati».

La Fallaci disse di provare «disprezzo» per i coniugi Fo e «una specie di pena, perché v'era un che di penoso in quei due vecchi che per piacere ai giovani radunati in piazza si sgolavano e si sbracciavano sul palcoscenico montato dinanzi a Santa Croce». In loro non vedeva dignità, mancanza di cui trovò conferma quando scoprì che Fo vestì la camicia nera della Rsi. «Sono rimasta sorpresa - disse - io che parlo sempre di fascisti rossi e di fascisti neri. Io che non mi sorprendo mai di nulla e non batto ciglio se vengo a sapere che prima d'essere un fascista rosso uno è stato un fascista nero, prima d'essere un fascista nero uno è stato un fascista rosso. E mentre lo fissavo sorpresa ho rivisto mio padre che nel 1944 venne torturato proprio da quelli della Repubblica di Salò. M'è calata una nebbia sugli occhi e mi sono chiesta come avrebbe reagito mio padre a vedere sua figlia oltraggiata e calunniata in pubblico da uno che era appartenuto alla Repubblica di Salò. Da un camerata di quelli che lo avevano fracassato di botte, bruciacchiato con le scariche elettriche e le sigarette, reso quasi completamente sdentato. Irriconoscibile. Talmente irriconoscibile che, quando ci fu permesso di vederlo e andammo a visitarlo nel carcere di via Ghibellina, credetti che si trattasse d'uno sconosciuto.

Confusa rimasi lì a pensare chi è quest'uomo, chi è quest'uomo e lui mormorò tutto avvilito: Oriana, non mi saluti nemmeno?. L'ho rivisto in quelle condizioni, sì e mi son detta: Povero babbo. Meno male che non li ascolti, non soffri. Meno male che sei morto».

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