Così il governo ha finanziato Hillary

Assegno tra i 98mila e i 222mila euro all'anno alla Fondazione almeno dal 2008

Gian Maria De Francesco

Roma Effettivamente alla convention del Partito democratico americano a Philadelphia che ha conferito la nomination presidenziale a Hillary Rodham Clinton non avrebbero dovuto presenziare né il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, né il presidente della Camera, Laura Boldrini. L'unico esponente delle istituzioni italiane titolato a parteciparvi era il ministro dell'Ambiente, Gianluca Galletti.

Quest'affermazione potrebbe stupire, ma non è cosi perché il ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare è da lungo tempo tra i finanziatori della Clinton Foundation con una quota compresa tra i 100mila e 250mila dollari, ossia tra gli 89mila e i 222mila euro all'anno sotto forma di government grants, ossia sovvenzioni governative. Ulteriori dati sull'elargizione non sono disponibili. Sia perché la Clinton Foundation non fornisce nei minimi dettagli i contributi ricevuti da singoli donatori sia perché lo stato di previsione del ministero non elenca precisamente tutti gli accordi internazionali (eccezion fatta per i più importanti come il Protocollo di Kyoto) ai quali lo Stato contribuisce con impegni complessivi per qualche decina di milioni. Non si tratta di una novità in assoluto: il ministero compare nell'elenco sin dal lontano 2008, anno in cui Obama costrinse il suo predecessore a rivelare i nomi dei contribuenti proprio per eliminare sospetto di conflitti di interessi sul suo ex segretario di Stato, cioè Hillary. Poiché nel 2008 il presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi, molto amico del repubblicano George W. Bush, è lecito supporre che l'«alleanza» tra Italia e Fondazione (creata nel 2001) sia cominciata ai tempi del centrosinistra, cioè tra 2006 e 2008, quando il premier era Prodi e all'Ambiente c'era il verde Pecoraro Scanio.

Per il contribuente italiano sarebbe poi interessante sapere quale tipo di progetto finanzi il nostro ministero. La Clinton Foundation è infatti molto attiva nel sostenere programmi di sviluppo e di scolarizzazione in Africa e America Latina. Oltretutto l'Italia è in buona compagnia, alla Fondazione contribuiscono a vario titolo infatti stati del G8 come Germania, Canada e Australia. Tra i finanziatori italiani compaiono poi nomi di tutto rispetto come il gruppo Fca, Monte dei Paschi e l'ex ad delle Generali Giovanni Perissinotto. In passato anche Enel, Autogrill e Pirelli hanno sostenuto l'istituzione creata dall'ex presidente Usa.

Il problema, però, più che finanziario è soprattutto geopolitico. Non a caso Hillary Clinton è diventata consigliera della Fondazione solo una volta terminata l'esperienza da segretario di Stato per allontanare da sé qualsiasi sospetto. Soprattutto considerato che uno tra i maggiori donors con oltre 24 milioni di dollari elargiti è l'Arabia Saudita che, sebbene alleata dell'Occidente, ha sempre avuto un rapporto non proprio lineare con i sostenitori del fondamentalismo islamico. Una situazione rilevata di recente dal candidato repubblicano Donald Trump che ha stigmatizzato la scarsa credibilità della sua avversaria nella lotta al terrorismo internazionale, proprio in virtù delle «relazioni pericolose» della Fondazione.

E proprio perché la Clinton Foundation assomiglia tanto a una lobby benefica, forse sarebbe stato meglio sospendere il versamento almeno per un anno visto che è accusata di essere un serbatoio occulto di finanziamenti per la campagna elettorale di Hillary.

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