"Così il lutto fa esplodere la depressione omicida"

L'esperto: «Era in una spirale negativa. Quell'attesa di 7 ore? Un atroce barlume di lucidità»

"Così il lutto fa esplodere la depressione omicida"

Guardare qualcosa che è incomprensibile agli occhi. Un uomo che butta la moglie dal secondo piano che corre a prendere la figlia di dieci anni, che la fa salire in auto e la porta a morire. Giù. Un salto dal cavalcavia. Gustavo Pietropolli Charmet è uno dei più importanti psichiatri italiani. È stato primario in diversi ospedali psichiatrici, e docente di Psicologia Dinamica all'Università Statale di Milano e all'Università di Milano Bicocca.

Oggi gli investigatore dicono che non aveva problemi psichici. Si poteva evitare questa tragedia?

«Probabilmente l'uomo era caduto in quella che si definisce la grande depressione. E che rende assolutamente imprevedibile. Solo se ci sono stati precedenti, qualche familiarità in famiglia allora si può ricorrere al trattamento antidepressivo che è molto efficace. Ma così, dal nulla era praticamente impossibile».

La morte della madre a cui era molto legato è stato un evento traumatico. Ma può scatenare una tragedia simile?

«Sì con personalità predisposte, un lutto può essere scatenante, può portare cioè alla luce una depressione latente».

Perché si uccide per depressione?

«È la grande depressione patologica, quella fulminante e grave: si vuole proteggere le persone che si amano di più nel modo più agghiacciante: ammazzandole. Per la convinzione delirante che la vita è una tortura».

In che senso?

«Perché per loro la vita è un inferno e vivere è fonte di sofferenza atroce. A differenza di un femminicidio in cui c'è la vena d'odio dell'uomo ferito, in questi casi sono delitti compiuti in nome della salvezza. Qui c'è un tentativo atroce di salvare le persone amate, di ripararle dalla peggiore delle insidie che è la vita. Non perché ci sia un fallimento, il lavoro che non funziona, l'amore che non ti corrisponde, ma la vita stessa, qualcosa di orrendo da cui scappare. Una spirale tristissima. Un peccato davvero».

Perché ha impedito ai soccorritori di avvicinarsi al corpo della figlia?

«Ci sono casi in cui nonostante l'altezza ci si può salvare. Lui non voleva nessun intralcio per il suo piano. Insomma voleva essere certo che non ci fosse speranza per la bambina».

Perché rimanere in attesa ore aggrappato al cavalcavia? Forse non voleva più morire?

«Impossibile pensare ad un finale diverso da quello. Sangue chiama sangue. Il corpo della figlia lì sotto, che lo chiamava. Nei casi simili, chi è sopravvissuto si è poi tolto la vita in carcere nei primi quindici giorni. Una spirale a cui non si sfugge».

E allora perché 7 ore appeso?

«La lunga esibizione in effetti è in contraddizione. Probabilmente l'altezza, il vuoto sotto, la figlia morta davanti agli occhi gli hanno come acceso un barlume di lucidità. Come se ci fosse stato un istante in cui ha messo in discussione le sue scelte.

C'è stato un tempo in cui ha pensato che forse quello che aveva appena fatto non era stata la scelta più giusta. Mettere in salvo la moglie e la figlia dalla vita. Vedere quel corpo della figlia in basso. Deve essere stato atroce»

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