Roma Tanti anni di finanziamenti italiani alla fondazione filantropica della famiglia Clinton e la clamorosa sconfitta di Hillary sembra vanificare lo sforzo di vari governi. Se il fine era anche quello di stabilire legami con una delle più potenti casate americane, la nuova presidenza di Donald Trump cambia del tutto lo scenario.
È almeno dal 2008, ai tempi del centrosinistra di Romano Prodi a Palazzo Chigi, che il ministero dell'Ambiente allora guidato dal verde Alfonso Pecoraro Scanio contribuisce a progetti della Bill, Hillary & Chelsea Clinton Foundation, nata nel 2001 e impegnata in programmi di sviluppo e di scolarizzazione in Africa e Sud America. Ma considerata da molti serbatoio occulto di finanziamenti per la campagna elettorale di Hillary.
Nel 2008 Barack Obama impose la trasparenza sui nomi dei contribuenti, proprio per eliminare sospetti di conflitti di interessi sul suo ex segretario di Stato.
Si ipotizza che la collaborazione tra governo italiano e fondazione sia iniziata nel 2006, quando l'Unione vinse le elezioni e Prodi formò il suo governo. Poi è proseguita nel tempo e sul sito ufficiale figura nel 2015 un contributo governativo italiano destinato alle attività della Clinton Global Initiative, tra i 101mila e il 250mila dollari.
Ad agosto il caso è stato sollevato con un'interrogazione parlamentare dal senatore di Fi Lucio Malan. «Trovo estremamente anomalo - sosteneva il parlamentare azzurro, chiamando in causa il ministro dell'Ambiente Gianluca Galletti - che un ministero della Repubblica italiana finanzi una fondazione finalizzata a sostenere un personaggio che, come ben sappiamo, è protagonista di un confronto politico negli Stati Uniti».
La Clinton Foundation è stata tirata in ballo nella campagna elettorale appena conclusasi dallo stesso candidato repubblicano Trump, che ha attaccato la sua avversaria democratica definendola poco credibile nella lotta al terrorismo internazionale, proprio per le «relazioni pericolose» della fondazione. Alludeva, soprattutto, ai 24 milioni di dollari elargiti dall'Arabia Saudita.
Nella lista dei donors, insieme all'Italia,
figurano altri Stati contribuenti, dalla Germania al Canada e all'Australia, insieme a gruppi privati come Fca e Monte dei Paschi, in passato anche Enel, Autogrill e Pirelli. Ora, probabilmente, non saranno più tanto generosi.
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