Il «ras delle coop» e il «cecato». S'erano guadagnati pure gli alias da boss, Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, il «rosso» e il «nero» dell'inchiesta su Mondo di Mezzo, «dimezzata» - nomen omen - ieri dai giudici della decima sezione penale di Roma, che hanno cancellato l'accusa di associazione mafiosa. C'era corruzione ma non mafia, insomma. E Buzzi e Carminati dopo la sentenza di primo grado possono smettere gli abiti da padrino. E non solo quelli. L'uomo che per la procura dalla tolda di comando della coop «29 giugno» rimestava il mondo degli appalti grazie a potenti entrature politiche e il suo «gemello diverso», che secondo gli inquirenti era una sorta di minaccioso braccio armato della ditta, si sono portati a casa due condanne pesanti - 19 e 20 anni rispettivamente - ma anche una clamorosa vittoria, tanto che entrambi non hanno mancato di manifestare una certa soddisfazione. Strano a dirsi, vista l'entità delle pene. Ma i reati per i quali sono stati condannati non odorano di Cosa nostra: associazione per delinquere, estorsione, turbativa d'asta, corruzione. Pene pesanti, certo, ma forse proprio «per compensare lo schiaffo morale rivolto alla procura» rimuovendo il 416bis, come osserva a caldo Giosué Bruno Naso, legale di Carminati.
E va ricordato che il «nero», come Buzzi, è dietro le sbarre dall'ormai lontano dicembre del 2014, quando «Mafia Capitale» diventò la pesantissima etichetta applicata sullo scenario politico della Città Eterna. E dunque questo è il prossimo tema. Perché a giustificare una così lunga custodia cautelare c'era appunto il 416 bis, adesso riqualificato a 416 tout court. Senza la mafia, allora, i termini, più volte sospesi, potrebbero essere già scaduti, le porte della galera già aperte. Solo che, nel giorno del durissimo colpo incassato dalla procura retta da Giuseppe Pignatone, vedere anche tutti gli imputati andarsene a piede libero, col Rosso e il Nero in prima fila, sarebbe stata una debacle forse troppo pesante per gli inquirenti. Così per adesso i due - e pochi altri: - restano dietro le sbarre, perché i giudici hanno disposto la sospensione dei termini di custodia cautelare fino al deposito delle motivazioni, tra novanta giorni. Tre mesi. Ma il «ras» e il «cecato», che proprio in carcere s'erano conosciuti tanti anni fa, diventando amici e soci in affari nel «mondo di mezzo», potrebbero pure tornare a casa prima. Quantomeno ai domiciliari se, ottenuta la patente di «non mafiosi», i loro difensori dovessero appellarsi con successo al tribunale del Riesame. Già annunciato da Alessandro Diddi e Pier Gerardo Santoro, difensori del capo della «29 giugno». «Buzzi - spiegano - vuole andare a casa, faremo appello prima possibile».
Così la strana coppia resta ancora unita - a distanza - dopo la sentenza di primo grado. E dopo essersi divisi le attenzioni mediatiche negli anni dell'inchiesta e poi del processo. Buzzi aveva conquistato le prime pagine per aver detto, intercettato, che faceva più soldi con gli immigrati di quanti ne avrebbe fatto spacciando stupefacenti. Carminati aveva addirittura dato il nome «ufficiale» all'indagine, con quella dettagliata descrizione del «mondo di mezzo», confidata all'amico Riccardo Brugia (anche lui ancora dietro le sbarre): «Ci sono i vivi sopra e i morti sotto e noi in mezzo. C'è un mondo in cui tutti si incontrano, il mondo di mezzo è quello dove è anche possibile che io mi trovi a cena con un politico». Sembravano il simbolo vivente di un patto scellerato e politicamente trasversale che avrebbe, secondo investigatori e magistrati, introdotto la mafia a Roma, una piovra «locale», che avrebbe allungato i tentacoli fin dentro le istituzioni.
E invece dopo il primo grado rieccoli derubricati da temibili boss ad amici/soci in una «normale» associazione per delinquere. «Io sono un vecchio fascista degli anni Settanta e sono contentissimo di quello che sono», aveva dichiarato Carminati in aula a marzo scorso. Mafioso, però, proprio no. E i giudici gli hanno dato ragione.
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