Il primo straniero nel mirino dello Stato islamico in Bangladesh è stato il cooperante Cesare Tavella ucciso il 28 settembre nello stesso quartiere della strage di venerdì. Per pianificare l'agguato i seguaci del Califfo devono averlo seguito a lungo e sapevano benissimo che si trattava di un italiano.
Il nostro Paese e i nostri connazionali all'estero sono sempre più nel mirino del terrorismo di matrice islamica in quanto «crociati». La presenza del Papa e Roma simbolo della cristianità sono un fattore che attrae la strategia della tensione delle bandiere nere. Le missioni militari in Irak e Afghanistan risultano un altro catalizzatore, come la semplice appartenenza alla Nato guidata dagli americani.
La cellula dello Stato islamico ha deciso di attaccare a Dacca un obiettivo soft, guarda caso a trecento metri dall'ambasciata italiana. Il ristorante era notoriamente frequentato da stranieri e tanti connazionali. Quando le vedette del terrore avranno eseguito sopralluoghi per pianificare la strage si saranno resi conto di chi erano i commensali e chi ci lavorava, compreso un cuoco italiano.
Sarà un caso, ma il 27 giugno l'ultimo espulso dal territorio nazionale perché «la sua presenza in Italia costituiva una minaccia per la sicurezza dello Stato» è proprio un bengalese. Mahamud Hasan è stato fermato all'aeroporto di Venezia appena rientrato da Dacca. A Grado, località balneare del Friuli-Venezia Giulia, gestiva un negozio di bigotteria per turisti. Peccato, che da tempo fosse stato segnalato come supporter dello Stato islamico. «In base ad attente indagini - ha spiegato il ministro dell'Interno, Angelino Alfano - è stato accertato che, utilizzando una identità fittizia, aveva pubblicato testi sull'Isis ed era stato segnalato quale utente di social network con manifeste simpatie per l'organizzazione terroristica. Tutto questo ha indotto i nostri investigatori a ritenere che poteva essere impegnato nella diffusione del messaggio radicale con finalità di proselitismo».
I servizi segreti nella relazione consegnata in marzo al Parlamento hanno ammesso che l'Italia è «sempre più esposta» ad attentati di matrice islamica, compresi i connazionali che viaggiano o lavorano all'estero. L'allarme lanciato dall'intelligence conferma che il nostro paese è un «obiettivo potenzialmente privilegiato sotto un profilo politico e simbolico/religioso, anche in relazione alla congiuntura del Giubileo».
La presenza seppure ridotta a circa 700 militari nella base di Herat è sempre bollata come «un'invasione» dalla nascente provincia del Khorasan, la costola del Califfo in Afghanistan.
In Irak addestriamo i combattenti curdi nemici giurati delle bandiere nere con la missione Prima Phartica. Dal Kuwait decollano 4 caccia italiani e i droni per fotografare obiettivi Isis. Anche se abbiamo l'ordine di non sganciare bombe quegli obiettivi saranno distrutti dagli alleati. Per i terroristi del Califfo non fa differenza. L'Italia va colpita, come gli altri Paesi occidentali e il primo, concreto, segnale di allarme risuonò con l'attacco al museo del Bardo a Tunisi, che lo scorso anno costò la vita a quattro turisti italiani. I terroristi decisero di agire proprio il giorno della settimana in cui arrivavano le navi passeggeri dall'Italia zeppe di stranieri e connazionali.
I quattro tecnici italiani rapiti in Libia furono tenuti in ostaggio dai tunisini dello Stato islamico annidati a Sabrata per far soldi sapendo che solitamente Roma paga. Quella volta qualcosa andò storto e due ostaggi tornarono a casa nelle bare.
Prima e dopo gli attacchi di Parigi e Bruxelles lo Stato islamico ha più volte rilanciato la «conquista di Roma», come messaggio neanche tanto propagandistico «per colpire al cuore i crociati».
Dal 2001 allo scorso dicembre
erano stati uccisi 47 civili italiani per mano dei terroristi islamici. Venerdì, in una sola notte, ne sono stati macellati nove e un altro è disperso. Un'escalation che dimostra quanto siamo nel mirino della guerra santa.
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