La lunga strada davanti. Il buio e la salita. Eppure l'ottimismo iniziale, quello che ti fa credere che alla fine ce la puoi fare, che il tuo corpo può reagire, non ti tradirà. Credere e affidarsi e poi morire. Aveva 47 anni la donna di origine siciliana malata di cancro al seno che si era affidata alle cure di un naturopata. Troppo tardi quando aveva capito che bisognava invertire la rotta, chiedere aiuto a Massimiliano Berretta, oncologo del Cro di Aviano, in provincia di Pordenone. Una lettera disperata e di una lucidità crudele, oggettiva e capace di freddo distacco, lei che si sentiva in qualche modo colpevole verso se stessa, per quel corpo che non era riuscita a proteggere nel modo giusto. «Premetto che sono arrivata al pronto soccorso in condizioni molto critiche - si racconta - perché avevo seguito i consigli di un naturopata che conoscevo da anni, ma che si è rivelato poi un lupo travestito da agnello, definizione sin troppo generosa per questo personaggio che praticava radioestesia, fiori di Bach, metodo Hamer e poi mi ha ridotta in fin di vita, dolorante, con problemi respiratori, debilitata e sottopeso di 10 chili. Sono precipitata da 42 a meno di 30 in qualche settimana». Una richiesta d'aiuto arrivata ai supplementari. Le condizioni che peggiorano e precipitano, il tempo che non c'è più, per virare, raddrizzare la rotta. La lucidità che non ti abbandona. La rabbia e il dolore, la tua vita che non torna, il danno irreparabile, la disperazione e la sconfitta. L'occasione per salvarsi che è persa definitivamente perché qualcosa si poteva fare, e invece. Ivece quando arriva al Cro di Aviano il suo quadro clinico è troppo compromesso per salvarsi. È morta un anno fa. Deceduto dopo pochi mesi dal ricovero. Oggi l'oncologo ricorda e mette in guardia. Vuole raccontare e dire, che l'alternativa non c'è. «Mentre lei credeva di sottoporsi a una terapia efficace, la malattia avanzava in modo ancor più aggressivo - ha spiegato Beretta - perché non incontrava l'ostacolo della chemioterapia, e soprattutto si diffondeva in un organismo ormai privo di difese. Le parole di quella donna mi risuonano ancora nella testa e di questo caso parlo spesso durante i convegni, perché non si discute mai abbastanza dei trattamenti non convenzionali che non sono per forza di cose dannosi, ma devono essere valutati sempre da un medico».
È indispensabile che queste terapie non interferiscano con le cure dice Beretta.
Un problema dalle dimensioni notevoli: un paziente oncologico su due che nell'arco del proprio percorso terapeutico fa ricorso a terapie non convenzionali. È un esercito spaventato e disperato che cerca un abbraccio e troppo spesso incontra un guru.
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