Milano Forse adesso Carlo De Benedetti rimpiangerà di avere querelato Marco Tronchetti Provera: perché il processo milanese ha trasformato una polemica a distanza tra maturi manager nella rilettura giudiziaria di una carriera imprenditoriale: la sua, quella dell'Ingegnere, businessman dinamico ed esperto. Ma di cui, dice la sentenza di ieri, è lecito ricordare anche passi ingloriosi. Lo aveva fatto, sinteticamente, Tronchetti nelle sue dichiarazioni del 2013. Lo ha fatto, in modo assai più inclemente e dettagliato, il difensore dell'imputato, il professor Tullio Padovani. Che ha affrontato passo passo, e documenti alla mano, gli inciampi di De Benedetti. A partire dal capitolo più «fosco e terribile», quello della bancarotta del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, finito impiccato sotto un ponte di Londra.
CASSAZIONE E DIETROFRONT
«Coinvolto nella bancarotta del Banco Ambrosiano», così Tronchetti definisce De Benedetti. Interrogato in aula, l'Ingegnere dice «io sono stato assolto in Cassazione con la motivazione che non avrei mai dovuto subìre un processo, quindi io sono totalmente estraneo». Ma ieri Padovani spiega che De Benedetti «se la filò all'inglese» dal Banco Ambrosiano dopo avere recuperato tutti i suoi soldi e anche gli interessi, ben sapendo della catastrofe imminente. Per questo venne condannato per bancarotta sia in primo che in secondo grado. In Cassazione venne assolto solo nel 1998 «per motivi processuali», perché la Procura non aveva impugnato una prima archiviazione. Ma ieri Padovani dimostra che otto anni prima un'altra sentenza della Cassazione aveva scritto l'esatto contrario: il processo all'Ingegnere era regolare. Ma quella sentenza sparisce. «Io dico che De Benedetti ha compiuto un miracolo giudiziario, e come tutti i miracoli non ha una spiegazione razionale».
«PACCOTTIGLIA ALLE POSTE»
«Finì dentro per le vicende di Tangentopoli», ha detto Tronchetti parlando di De Benedetti per gli appalti per le Poste, ed è stato querelato anche per questo. Ieri in aula il professor Padovani ha ricordato che «De Benedetti fu inquisito e arrestato per svariati reati contro la Pubblica amministrazione, segnatamente una corruzione per dieci miliardi pagati all'estero all'ispettore generale delle Poste, Parrella, in relazione a un fatturato di 600 miliardi di lire relativo a telescriventi e software inefficienti, modelli vetusti. Ha detto che bisognava fare così se si voleva lavorare. È una scusa comune a tutti gli imprenditori. La verità è che era un modo facile e lucroso di lavorare, un modo semplice per vendere a quel prezzo 600 miliardi di paccottiglia». Dall'accusa di corruzione, ha ricordato il difensore di Tronchetti Provera, De Benedetti uscì grazie alla prescrizione.
LA CONDANNA DIMENTICATA
L'Ingegnere ha querelato Tronchetti anche per avere detto che i bilanci della sua Olivetti erano «discussi». Ma quando De Benedetti è stato interrogato in aula, il difensore dell'imputato gli ha chiesto se si ricordava di avere patteggiato una pena per falso in bilancio, relativa proprio all'Olivetti. «Non ricordo», rispose De Benedetti. Ma la condanna c'era, anche se ieri il legale dell'Ingegnere ha cercato di minimizzare, «era un solo capo di accusa su tredici, si decise di patteggiare così non se ne parlava più, era solo una irregolarità formale». Ma per il professor Padovani, «la sentenza dimostra come i bilanci Olivetti fossero criminosamente falsi». «Se anticipo i ricavi poco prima della chiusura dell'esercizio compio un falso in bilancio drammatico perché espongo un risultato finale che non corrisponde a verità». Nei tre esercizi, dice l'avvocato, vennero esposti complessivamente crediti e ricavi inesistenti per oltre 120 miliardi di lire.
CACCIATO O ALLONTANATO?
Perché, dopo soli quattro mesi dall'ingresso nel consiglio d'amministrazione della Fiat, nel 1976, De Benedetti lasciò ogni carica? Tronchetti dice che fu «allontanato», lui in aula ha spiegato di essersene andato di sua iniziativa. Durante il processo, i testimoni (in particolare Cesare Romiti) hanno confermato la versione dell'Ingegnere. Ieri nella sua arringa, il difensore di Tronchetti spiega che «allontanato» non vuol dire «cacciato»: e che comunque quelle di De Benedetti furono dimissioni «spintanee» a causa delle divergenze con la famiglia Agnelli.
QUEL VERBALE FIRMATO CDB
Non fa parte del capo d'accusa, ma in aula se ne parla ugualmente, perché è uno degli episodi chiave della eterna rivalità tra querelante e querelato: l'operazione di acquisizione di Telecom da parte della Pirelli di Tronchetti Provera, che nel corso della polemica l'Ingegnere ha definito un caso di «avidità e incapacità», spiegando di non averla condivisa e di essersi dimesso per questo dal board di Pirelli.
Ma il difensore di Tronchetti legge un passaggio del verbale del consiglio di amministrazione: «L'ingegner De Benedetti dichiara di condividere completamente la scelta strategica insita nell'operazione Telecom essendo così entrati in un settore molto importante sotto il profilo della generazione di cassa». «È vero che si dimise - spiega il legale - ma cinque anni dopo: e per tutt'altro motivo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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