Se l'integrazione non riesce spontaneamente, si è detto il governo danese, bisognerà forzarla affinché si realizzi in fretta. Entro il 2030, possibilmente. È quella la data entro cui l'esecutivo guidato dal liberale Lars Løkke Rasmussen vuole che nel Paese non esistano più minoranze straniere emarginate. Sacche di disagio e povertà personificate dai «ghetti», quelle aree urbane - 25 in tutta la Danimarca, ufficialmente denominate così dal 2010 - in cui più della metà degli abitanti proviene da Paesi non occidentali e dove il tasso di disoccupazione supera il 40 per cento.
Le misure approvate dal governo di Copenaghen per gestire l'insediamento dei migranti arrivati da Nord Africa e Medio Oriente soprattutto nel 2015, quando la cancelliera tedesca Angela Merkel mise in atto la politica delle «porte aperte» e attirò molti richiedenti asilo nell'Europa settentrionale, sono tema di accesi dibattiti nel Paese, dove in totale l'8,7 per cento dei residenti è di origine extraeuropea. Delle 22 proposte presentate dal governo nel «pacchetto ghetto», soprannominato così perché si tratta di leggi da applicare proprio in quei quartieri «difficili», quasi tutte sono state approvate dal Parlamento e altre ancora saranno votate in autunno. Tra le misure più discusse c'è quella che prevede che tutti i bambini residenti in quelle zone, dal compimento del primo anno di vita in poi, dovranno partecipare obbligatoriamente a corsi di 25 ore settimanali in cui verranno insegnati la lingua e i «valori danesi», comprese le tradizioni del Natale e della Pasqua. L'inosservanza dell'obbligo, secondo i media, potrebbe tradursi nella sospensione dei sussidi statali. Altra novità è l'introduzione di una pena fino a 4 anni di carcere per chi costringerà i propri figli a tornare nel Paese d'origine per lunghi periodi - i cosiddetti «viaggi di ri-educazione» - con lo scopo di rafforzare l'identità culturale, la lingua o i rapporti con i familiari. E i 25 ghetti vedranno anche crescere la presenza di forze dell'ordine, che potranno duplicare le pene per i reati commessi all'interno di quelle zone. Ma il pacchetto prevede anche bonus fiscali per chi dà lavoro a immigrati e premi agli studenti stranieri che migliorano i propri voti di anno in anno.
Il piano è stato appoggiato anche dai socialdemocratici, al governo proprio fino al 2015, anche loro ormai intenti a inasprire i toni sul tema dell'immigrazione dopo aver perso voti a favore del Partito popolare danese, formazione conservatrice e anti-migranti, dalle ultime elezioni secondo partito danese. Proprio i popolari hanno proposto alcune delle misure più radicali, che sono però state bloccate, come l'imposizione di un coprifuoco ai bambini residenti nei ghetti, per non farli uscire di casa dopo le 20.
La stretta dell'esecutivo non arriva inattesa. Avevano attirato critiche le parole della ministra dell'Immigrazione Inger Stojberg, che a fine maggio aveva suggerito di esentare dal lavoro i musulmani perché durante il mese del Ramadan possono sentirsi indeboliti a causa del digiuno. E il 1° giugno è stato approvato il divieto di indossare indumenti che coprono il viso negli spazi pubblici, legge pensata per vietare burqa e niqab, i due tipi di veli integrali previsti per le donne dall'islam. Ma anche alcune dichiarazioni della leader dei Socialdemocratici, Mette Frederiksen, sono state accusate di essere discriminatorie.
Come quando disse che l'Islam sarebbe una «barriera all'integrazione», che alcuni musulmani «non rispettano la giustizia danese» e che le scuole musulmane andrebbero chiuse. Nel tentativo di riconquistare un po' dei consensi persi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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