«Mattarella? Se lo votino loro. A tutto c'è un limite». E ancora: «Io ho mantenuto la parola data, Matteo no. Ora il patto non c'è più». Berlusconi è addolorato e triste: dal premier, incaponitosi su Mattarella, è arrivato l'ennesimo schiaffo. Spiace soprattutto dopo aver donato così tanto sangue alla causa delle riforme e della legge elettorale. «Ma adesso basta. Se ha i numeri lo dimostri. Tanto non ce li ha...». Il Cavaliere decide che no, voterà scheda bianca anche alla quarta votazione, quella di domani, quella decisiva in cui sarà sufficiente la maggioranza assoluta dei grandi elettori. Ma soprattutto, d'ora in avanti, sarà opposizione dura, durissima. Anzi: «Italicum e riforme non passeranno», dice il Cavaliere.
La decisione di cambiare registro è una decisione sofferta, certo; tanto che per tutta la mattina Berlusconi è combattuto. Mattarella è un dito nell'occhio, l'ennesimo, e non gli è piaciuto affatto come è stato trattato da Renzi. Però, poco prima di pranzo, gira voce che, persa per persa la partita del Colle, il Cavaliere sia orientato a dire di sì anche a Mattarella. «A questo punto tanto vale metterci il cappello sopra», ragiona un forzista in Transatlantico. Ma è uno dei pochi. Gli altri, tanti, avrebbero difficoltà a digerire un rospo così grande: «È un altro Scalfaro. Avrei difficoltà a votarlo...», ammette un altro deputato forzista. A palazzo Grazioli ci sono Gianni Letta e Fedele Confalonieri, i più fidati consiglieri dell'ex premier. Che fare? La partita va giocata assieme ad Alfano per fare massa critica: meglio vedersi. I due mangiano assieme. Anche al leader di Ncd non va giù il modo con cui s'è mosso Renzi: ultimativo, a tratti sfacciato. Così non va. Berlusconi necessita di una boccata d'aria: «Ho bisogno di pensare» e fa un giro per le vie del centro. Poi, però, dal possibile «sì» si passa al «nì» e quindi al «no» secco.
Lo ufficializza prima Paolo Romani, arrivato alla Camera alle 14: «Non c'è nessun margine su Mattarella - dice il capogruppo al Senato -. È la rottura di un metodo, il percorso quindi è negativo». Il patto è stracciato anche perché il tono con il quale Romani annuncia il niet di Berlusconi è straordinariamente perentorio. Alla Camera arriva anche Verdini, telefonino incollato all'orecchio, muto come un pesce, la faccia tirata come una corda di violino. Poi, alla spicciolata, arrivano tutti gli altri perché alle 16 il Cavaliere incontri i grandi elettori forzisti a Montecitorio.
Ai suoi spiega: «Non ho nulla sulla persona di Mattarella ma non è certo un nome condiviso. Gli ho parlato al telefono e l'ho avvisato: daremo scheda bianca. La considera un segno di rispetto nei suoi confronti». Poi traccia la linea del partito: «Vedrete che ci saranno delle sorprese sulla legge elettorale e le riforme costituzionali... Vedrete che sia l'una che le altre non vedranno mai la luce come leggi della Repubblica...». Basta col soccorso azzurro, basta con l'opposizione blanda. Sarà guerra su tutti i provvedimenti. «Sono molto rammaricato - dice scuro in volto -, io ho mantenuto la parola data, non siamo noi a non aver rispettato il patto ma Renzi». Quindi parla anche di Ncd: «La scelta di Renzi su come procedere segna uno spartiacque nell'atteggiamento di Area popolare al governo; d'ora in avanti saranno molto critici verso l'esecutivo ma non faranno cadere governo». Per ora.
Poi arriva il
consiglio: «Vada dalla Lega, presidente». E Berlusconi sale dal vecchio amico Bossi. E incrociando il senatore D'Anna, criticissimo sul Patto del Nazareno, Berlusconi ammette: «Avevi ragione tu... Non dovevo fidarmi di quello lì».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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