Era stata esclusa in extremis dal pacchetto anticorruzione, anche per i veti incrociati tra M5s e Lega. Ma per il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, la riforma cardine della prescrizione è solo rinviata a breve e farà parte della più ampia rivoluzione della giustizia promessa dai grillini e già avviata con il Daspo ai corrotti. Da completarsi questa volta attraverso un percorso parlamentare che metta l'esecutivo al riparo da ostacoli che potrebbero minare il fragile equilibrio gialloverde, visto lo scontro in atto tra Salvini e i magistrati.
Così, se la prescrizione esce dal consiglio dei ministri, può rientrare in commissione Giustizia alla Camera. E in una versione ancora più dura. Infatti, mentre l'obiettivo di Bonafede, che sperava di fare della prescrizione la prima bandierina dal suo insediamento in via Arenula, era fermare la clessidra dopo il primo grado, quello della proposta depositata a Montecitorio, primo firmatario Andrea Colletti, è farlo contestualmente al rinvio a giudizio. Cioè senza nemmeno aspettare la sentenza.
Secondo le intenzioni dei grillini che l'hanno proposta, la misura dovrebbe indurre l'imputato a scegliere strade come patteggiamento o rito abbreviato: «L'introduzione della sospensione dal momento del rinvio a giudizio porterebbe - recita il ddl - con molta probabilità larga parte degli imputati a preferire il ricorso al rito abbreviato e al patteggiamento, rendendo superflui ulteriori gradi di giudizio, con un'evidente riduzione della spesa pubblica». Insomma, scrivono i firmatari, siccome «con il rinvio a giudizio lo Stato manifesta la volontà punitiva, la prescrizione non dovrebbe mai poter decorrere durante il processo in corso». Dunque la sospensione dei termini va attivata «solo per il fatto della pendenza del processo». Con tanti saluti al garantismo fino al terzo grado di giudizio, principio che evidentemente il M5s spera di svuotare con lo spauracchio di un processo infinito.
Ma c'è anche una seconda spallata ai cardini del sistema giudiziario, arrivata in commissione al Senato attraverso un ddl che raccoglie una delle battaglie dell'ex deputato Bonafede: l'abrogazione del divieto della reformatio in peius, principio che vieta di poter riformare una sentenza di primo grado con una pena maggiore quando a ricorrere sia stato l'imputato condannato in primo grado. Se a ricorrere è il pubblico ministero, già con l'attuale normativa, la pena comminata in appello può essere superiore a quella prevista dalla sentenza di primo grado. A firmare il ddl la senatrice pentastellata Elvira Evangelista: «Abrogazione del divieto di reformatio in peius nel processo d'appello in caso di proposizione dell'impugnazione da parte del solo imputato». Se passasse la proposta, un condannato in primo grado che dovesse impugnare la sentenza potrebbe incorrere in un peggioramento della pena. Una prospettiva che ha fatto sobbalzare i penalisti dell'Unione delle camere penali.
«Stravolgerebbe del tutto l'equilibrio del nostro processo, trasformando l'appello in una sorta di ordalìa, in una sfida tra cittadino e Stato, nella quale chi è vittima di ingiustizia può cercare di porvi rimedio solo esponendosi a un rischio maggiore».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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