La destra "dal basso" di Marine ​è impossibile in questa Italia

I sovranisti nostrani la imitano, però nessuno le somiglia. E poi a noi manca una cosa: il senso di identità nazionale

La destra "dal basso" di Marine ​è impossibile in questa Italia

Partito dall'estrema destra quarant'anni fa, il Front National è ormai da tempo un movimento nazional-populista. Ha sostituito cioè la classica impostazione assiale della politica (destra-sinistra-centro) con un nuovo modello. Il populismo è una realtà che le categorie tradizionali non comprendono e dalla quale rifuggono, tentandone infatti la delegittimazione.
La sua complessità consiste proprio nella sua apparente semplicità: c'è un popolo che sta in basso, che non si sente rappresentato, che non ne può più della classe dirigente al potere, che avverte in maniera drammatica la crisi economica e la «frattura» sociale, che si vede prospettare modelli e sistema di vita non suoi e si sente sempre più insicuro e indifeso.
In Francia questo cambiamento è andato di pari passo con quella che un pensatore intelligente e anticonformista come Alain de Benoist ha definito la «orleanizzazione degli ambienti nazionali», ovvero il liberismo della destra post-gollista, sempre più tesa al libero mercato, alla globalizzazione, all'accento sugli elementi commerciali e mercantili, in una deriva elitaria e classista che ne ha visto poi l'implosione, dopo la rovinosa sconfitta alle scorse presidenziali di Nicolas Sarkozy.

Sul versante opposto, il percorso della gauche è stato similare, in un allineamento al sistema dominante che nel penalizzarne l'elettorato classico si allontanava sempre più da una politica popolare, finendo in pratica con l'essere interscambiabile rispetto al suo concorrente usuale. Non è un caso che questa destra e questa sinistra si siano sempre e comunque alleate contro il Front National. Possono sopravvivere solo se lo escludono. Il futuro di Marine Le Pen si gioca nel suo riuscire a far fuori almeno uno dei due attori, possibilmente l'Ump post-Sarkozy, che in queste elezioni presidenziali corre con François Fillon, perché, a parole, teorico di una rispettabilità nazionale sempre agitata nei momenti di difficoltà.
Anche sul versante opposto c'è stato un riallineamento, ma tardivo e addirittura polarizzato. Il Partito socialista è allo sfascio: il populismo post-marxista di Jean-Luc Mélenchon lo erode a sinistra, il lib-lab giovanilista, riformista e «dal volto umano» di Emmanuel Macron, gli succhia l'elettorato moderato di centro e strizza l'occhio alla borghesia progressista. Difficilmente sopravviverà a questa duplice trazione.

Tornando all'«elettorato naturale» del Front National, questo non è dunque «il popolo di destra», ma, come già accennato, il popolo che sta in basso, e in questa identificazione sta la ragione del suo successo elettorale: nel suo mantenerla, la chiave di quello futuro. Molti si chiedono se sia possibile esportare un simile modello in Italia. La risposta è più negativa che positiva. Il nostro orizzonte politico è del tutto diverso. Al momento ci sono sostanzialmente tre partiti populisti, quello leghista, quello grillino e Fratelli d'Italia. La forza del primo sta paradossalmente nella sua debolezza: il localismo secessionista. Può sfasciare il Paese, ma non può rappresentarlo e che una o due Regioni nello sfascio si salvino, è materia di dubbio. Il suo tentativo di porsi come forza sovranista e nazionale, non ha prodotto risultati. Suona poco credibile, paga l'ostilità interna del suo nucleo nordista. Il Movimento Cinque Stelle raccoglie trasversalmente, e su tutto il territorio, un sentimento di protesta che non accenna a diminuire. Al netto di errori e di inesperienza, resta un protagonista della scena politica, ma sconta forse un moralismo di base (gli altri, tutti gli altri, sono dei «ladri» e basta...) che come appeal nazional-popolare non è sufficiente. E tanto meno lo è la Democrazia della Rete.

Fratelli d'Italia è una sorta di sottotraccia un po' malinconico di ciò che è sopravvissuto al lavacro di Fiuggi, alla sbronza governativa di An, alla cooptazione berlusconiana... Ha un leader abbastanza giovane, dei consiglieri del leader abbastanza vecchi. Teoricamente, potrebbe avere un ruolo, ma l'impressione è che gli manchi il quid necessario per uscire dal proprio limitato bacino elettorale post-missino. Resta come condannato a destra che, oggi come oggi, non significa più niente.
Ci sono poi gli altri due schieramenti, da anni contrapposti, il centro-destra e il centro-sinistra, dove gli elementi populisti, presenti e/o in fieri sono ingabbiati dal leaderismo, vecchio e nuovo, quale materia fondante. Lo sperimentato berlusconismo è in affanno e continua a vivere della luce riflessa del suo leader, il renzismo ultimo arrivato è già finito. Ha perso il referendum, si è ritrovato senza l'Italicum, è condannato a galleggiare in un futuro sistema proporzionale: il decisionismo renziano, insomma, «non abita più qui»...


Perché un lepenismo approdi anche da noi, occorrerebbero insomma un po' troppi fattori, non ultimo quello nazional-identitario, molto più debole e in crisi rispetto ai cugini d'oltralpe. Per fare un movimento nazionale ci vuole una nazione, avrebbe detto Monsieur de la Palisse. Che infatti era francese.

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