La vicenda è presto detta: la Deutsche Bank spa, emanazione italiana del principale gruppo bancario tedesco, ha deciso di addebitare 24 euro e 32 centesimi, una tantum, ai circa 500mila titolari di conto corrente che ha nella Penisola. Come apprendiamo dalla lettera pubblicata nell'articolo a fianco, la comunicazione è stata inviata in gennaio e prevede, in caso di silenzio assenso, l'addebito a fine giugno. Salvo decidere di recedere. Tutto regolare. Anche la spiegazione: i costi dei conti correnti possono essere aumentati dalle banche a fronte di motivi che ne giustifichino l'innalzamento, tipicamente legati ai maggiori costi di esercizio. Il punto è che in questo caso i maggiori costi, effettivi, sono molto particolari.
Riguardano la partecipazione di Deutsche Bank al Fondo di Risoluzione presso la Banca d'Italia, l'autorità introdotta dalla direttiva Brrd (cosiddetta bail in) per effettuare i salvataggi bancari. Al Fondo partecipano, in ogni Paese dell'area euro, tutte la banche del sistema, in proporzione agli attivi. Quindi Deutsche Bank partecipa anche in Italia in proporzione alla sua spa. Il sistema così studiato - in estrema sintesi - permette appunto il «bail in», cioè che il salvataggio delle banche in difficoltà resti all'interno del sistema bancario («in»), senza interventi esterni pubblici («out»). Viene finanziato dal Fondo e, per gradi successivi, come noto, anche dagli azionisti stessi della banca, dagli obbligazionisti e se serve anche dai correntisti più ricchi (oltre i 100mila euro).
Le banche italiane sono state chiamate a versare al Fondo molti quattrini: non solo le annualità previste per 2015 e 2016, ma anche altre tre annualità anticipate, per un totale di 3,8 miliardi: tanto serviva per la «risoluzione» della crisi di Popolare Etruria, Banca Marche, Carichieti e CariFerrara a fine 2015. Per Deutsche Bank il conto è stato di 11,7 milioni (ordinario) più altri 13,3 milioni (straordinario). E l'istituto ha deciso di spalmare i contributi ordinari sui suoi correntisti.
La banca tedesca è comunque in buona compagnia, visto che una scelta analoga è stata effettuata da vari istituti in forme diverse (una tantum piuttosto che un aumento del canone annuo). Tra questi hanno ritoccato i costi Ubi, Intesa, Unicredit, Banco. Ma chi l'avrebbe mai detto?
Dai paladini del rigore e delle regole, il giochino di trasferire sui propri correntisti i maggiori costi sopportati per un'operazione prevista dal sistema suona male. Sul rispetto delle norme del «bail in» si continua a discutere molto in Europa. E i tedeschi restano schierati tra i più rigidi nel non consentire deroghe: chi sbaglia paga. Allo stesso modo, in Germania è forte la convinzione che sia da evitare qualsiasi forma di solidarizzazione europea delle «perdite», siano esse debiti piuttosto che sofferenze bancarie. Ma se alla prima prova dell'applicazione del bail in, la prima banca tedesca non accetta di accollarsi nemmeno il «minimo sindacale» previsto dalla direttiva, cioè il finanziamento del Fondo, allora c'è qualcosa che non funzionerà mai in questa Europa.
Alla fine, a ben pensarci, a pagare le crisi bancarie
si trovano coinvolti non i correntisti delle banche fallite, ma tutti gli altri. Alla faccia del «bail in», questo è esattamente il sistema del «bail out». Con qualsiasi banca libera di decidere quanto e come far pagare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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