Diciotti, la strategia difensiva di Salvini: "Fu tutto il governo a decidere"

Il ministro prepara la memoria ma non andrà in Giunta. Il verdetto entro il 23 febbraio

Diciotti, la strategia difensiva di Salvini: "Fu tutto il governo a decidere"

Roma - Il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, ha iniziato a scrivere l'altro ieri la memoria difensiva che porterà alla Giunta per le immunità del Senato, che dovrà pronunciarsi entro il 23 febbraio, ovvero entro un mese da quando ha ricevuto le carte, per stabilire se il vicepremier dovrà essere giudicato o meno per il caso Diciotti. Ha deciso di scegliere questa strada anziché presentarsi di persona, perché «verba volant, scripta manent». Sarà tutta farina del suo sacco, visto che per redigere il documento Salvini non si avvarrà di avvocati, anche perché in questa fase, non trattandosi di un processo, ma di una decisione che la Giunta per le immunità dovrà prendere, non è richiesto e non è necessario.

Dal Viminale non trapelano informazioni, anche perché, «la questione è molto delicata», dice qualcuno. Ciò che è certo è che il leader della Lega punterà su una linea difensiva ben chiara, ovvero far capire che le sue azioni sono state concordate d'accordo con il resto del governo. Lo ha detto lui stesso: «Andrò in Senato a testa alta, perché ho difeso l'interesse del mio Paese, i confini e la sicurezza. Combattere gli scafisti e gli amici degli scafisti, i trafficanti di droga, armi e uomini era e rimane una mia priorità».

Lo si è capito anche dalle dichiarazioni del collega pentastellato Di Maio, che ha chiarito che insieme al premier Giuseppe Conte porterà in Giunta una seconda memoria difensiva «per spiegare che le decisioni sulla Diciotti sono state prese insieme dal governo e non solo dal ministro dell'Interno». Insomma, se si decidesse di procedere con il negare l'immunità il tribunale dei Ministri potrebbe trovarsi davanti alla decisione di dover giudicare l'intero governo.

Ma c'è un altro punto, fondamentale, su cui probabilmente sarà focalizzata l'attenzione. Le leggi internazionali consentono, infatti, al governo di un Paese, di poter respingere immigrati qualora essi costituiscano un pericolo per la sicurezza nazionale. Questo principio è sancito dall'articolo 33 della Convenzione di Ginevra, che cita testualmente che a un rifugiato può persino essere negato lo sbarco «se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del Paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto Paese».

Ebbene, all'epoca in cui Salvini e il governo impedirono ai migranti di scendere dalla Diciotti, a bordo c'erano 4 presunti scafisti, individuati grazie alle indagini della Polizia di Stato dopo alcuni giorni. E questo, da solo, può essere un motivo sufficiente a giustificare l'azione del ministro.

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