Dicono "formazione sociale" per far passare le nozze gay

I politici che chiedono il voto per difendere il matrimonio tradizionale si vergognano a far approvare le unioni civili. Ma spostare l'attenzione dalla realtà alle parole è ipocrita

Dicono "formazione sociale" per far passare le nozze gay

Speriamo che non avesse ragione Nanni Moretti quando in Palombella Rossa , di fronte a una giornalista capace di esprimersi solo per stereotipi, dava in escandescenze, gridando: «Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!». Se infatti la tirata dell'attore-regista fosse azzeccata, dovremmo pronosticare un difficile futuro per le «formazioni sociali specifiche». Come? Cosa? Le formazioni sociali specifiche sono le già discusse unioni civili anche e soprattutto tra persone dello stesso sesso. La riformulazione del concetto sarebbe necessaria per distinguerle dal matrimonio, agevolando così l'approvazione e garantendo la costituzionalità della legge Cirinnà che dovrebbe regolarle. Tecnicismi a parte, cambia poco. Di fatto, i diritti e i doveri sono immutati e in sostanza coincidono con quelli del matrimonio (adozioni escluse). Capiamo le motivazioni tecniche e anche elettorali: chi ha chiesto il voto per difendere il matrimonio tradizionale forse si sentirà meno in imbarazzo a comunicare ai cittadini di aver approvato le «formazioni sociali specifiche». Resta il dubbio che l'espressione suoni un po' ipocrita.

Probabilmente è una reazione sbagliata ma inevitabile dal momento che viviamo in un'epoca fondata sulla convinzione che spostare l'attenzione dalla realtà alle parole possa coincidere col fare politica. Questa almeno era l'opinione di Robert Hughes, autore de La cultura del piagnisteo (Adelphi), una divertente e assennata distruzione del politicamente corretto scritta proprio nel momento in cui l'Accademia americana ne cadeva vittima. La forma è tutto, il contenuto è nulla. Il male e la sventura svaniscono «con un tuffo nelle acque dell'eufemismo». Hughes ci andava giù duro: «L'assortimento di vittime disponibile una decina di anni fa – negri, chicanos, indiani, donne, omosessuali - è venuto allargandosi fino a comprendere ogni combinazione di ciechi, zoppi, paralitici e bassi di statura o, per usare i termini corretti, di non vedenti, non deambulanti e verticalmente svantaggiati. Mai, nel corso della storia umana, tante perifrasi hanno inseguito un'identità». Il critico australiano toccava vette di cattiveria che gli costarono l'accusa di omofobia: «L'omosessuale pensa forse che gli altri lo amino di più, o lo odino di meno, perché viene chiamato “gay” (un termine riesumato dal gergo criminale inglese settecentesco, dove stava a indicare chi si prostituisce e vive di espedienti)? L'unico vantaggio è che i teppisti che una volta pestavano i froci adesso pestano i gay». Oriana Fallaci, ne La Rabbia e l'Orgoglio , scrive che gli intellettuali hanno rimpiazzato l'ideologia marxista con la «viscida ipocrisia» del politicamente corretto che «in nome della Fraternité (sic) predica il pacifismo a oltranza cioè ripudia perfino la guerra che abbiamo combattuto contro i nazifascismi di ieri, canta le lodi degli invasori e crucifigge i difensori». La viscida ipocrisia «o meglio l'inganno che in nome dell'Humanitarisme (sic) assolve i delinquenti e condanna le vittime, piange sui talebani e sputa sugli americani, perdona tutto ai palestinesi e nulla agli israeliani». La viscida ipocrisia «o meglio la demagogia che in nome dell'Égalité (sic) rinnega il merito e la qualità, la competizione e il successo, quindi mette sullo stesso piano una sinfonia di Mozart e una mostruosità chiamata rap». La viscida ipocrisia «o meglio la cretineria che in nome della Justice (sic) abolisce le parole del vocabolario e chiama gli spazzini “operatori ecologici”».

La viscida ipocrisia «o meglio la disonestà, l'immoralità, che definisce “tradizione locale” e “cultura diversa” l'infibulazione ancora eseguita in tanti Paesi musulmani».

Insomma, sempre meglio chiamare le cose col loro nome. Se sono unioni civili, o matrimoni tra persone dello stesso, diciamolo pure senza ricorrere a espressioni grottesche. Il dibattito sarà migliore.

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