Roma La censura al ministero della Difesa è a portata di mano. Accade ormai da tempo che gli articoli ritenuti «scomodi» vengano depennati dalla rassegna stampa delle forze armate.
Sul Giornale di ieri abbiamo pubblicato un'inchiesta sui costi dell'A340-500, il super Airbus voluto dall'ex premier Matteo Renzi e che riportava anche i retroscena di un futuro affidamento al Cai, in sostanza la compagnia aerea a cui si appoggiano i Servizi italiani, di tutti i voli di Stato. Ma in nessuna rassegna stampa interna alle forze armate, eccetto quella dello Stato Maggiore Difesa, che è l'unica i cui addetti hanno il coraggio di non tagliare, i pezzi erano riportati. Da chiedersi perché, però, siano stati inseriti due servizi molto simili usciti sulle pagine di Repubblica, giornale a cui il ministro pochi giorni fa ha rilasciato un'intervista, i cui contenuti non avevano niente da invidiare ai nostri. A parte la citazione dei voli della Pinotti su aerei in addestramento.
La rassegna stampa della Difesa non ha messo la nostra pagina, lo stesso è avvenuto in quelle interne alle varie forze armate. L'Aeronautica militare, di cui si parla nei pezzi a più riprese, ci ha totalmente depennati. In passato è accaduto addirittura che se i pezzi «fastidiosi» fossero riportati in prima pagina, neanche quella sia stata «rassegnata». A domanda specifica ci ha risposto il capo ufficio Pubblica informazione della Difesa, generale Adriano Graziani: «Non tutti gli articoli è obbligatorio vadano in rassegna, che è interna, ma se ci sono articoli che riguardano la Difesa vanno quelli che hanno qualche elemento di novità». Peccato che nel caso di ieri gli elementi di novità fossero comuni ai due quotidiani. La verità è che ormai da tempo la comunicazione della Difesa è schermata. In rassegna interna vengono messi solo servizi in cui si parla bene del ministro e del ministero, per lo più di giornali di centrosinistra. «Non siamo obbligati a mettere gli articoli e qui di censura non si può parlare, visto che è a uso interno», hanno detto più volte da via XX Settembre.
La realtà è che di censura si tratta eccome, visto che i 190mila militari italiani hanno le credenziali di accesso alla rassegna in questione e a tutti quanti viene inibita la lettura di alcuni pezzi. Diverse attività delle forze armate, peraltro, sono praticamente bandite ai giornalisti. Se un tempo, ad esempio quando ministri della Difesa erano l'ammiraglio Giampaolo Di Paola o il suo successore Mario Mauro, i cronisti avevano facoltà di richiedere di poter andare nei vari teatri operativi come embedded, oggi non parte più nessuno e i pochi viaggi concessi sono a chiamata ai giornalisti graditi. Che dire poi delle attività in Italia? Gli uffici pubblica informazione delle forze armate viaggiano a ritmo ridotto.
Quello dell'Aeronautica manda per lo più comunicati sui voli sanitari, come se l'arma azzurra si occupasse solo di quelli, la Marina sul recupero migranti, spesso tralasciando eventi di portata diversa. E nei palazzi ci si lamenta e si mormora, in un clima di silenzio imposto.ChG
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