Dolore privato, fermezza pubblica

Se il dolore privato può essere buonista ed ecumenico, quello pubblico non può che essere improntato sulla distinzione tra bravi e cattivi e sulla fermezza

Dolore privato, fermezza pubblica

Il dolore è fatto privato e la sua elaborazione da parte di chi lo ha subito nella testa e nella carne non è giudicabile. La famiglia di Valeria ha scelto legittimamente funerali laici ed ecumenici, astratti dal contesto che ha generato tanti lutti. Nessuno che non fosse stato a conoscenza dei fatti avrebbe potuto intuire o capire - assistendo alla cerimonia di piazza San Marco a Venezia - perché e per mano di chi Valeria è morta. Lo Stato ai suoi massimi livelli ha assistito - era presente anche il presidente Sergio Mattarella - in rispettoso silenzio. E fino a qui tutto torna, come si conviene in un Paese civile.

Ma non vorremmo che da oggi chiunque osasse pronunciare i nomi del nemico che ha ucciso Valeria pretendendo giustizia finisse all'indice in quanto provocatore, reazionario, pericoloso agitatore. Perché se il dolore privato può essere buonista ed ecumenico, quello pubblico non può che essere improntato sulla distinzione tra bravi e cattivi e sulla fermezza. Hollande, che è un leader della sinistra europea e non un pericoloso fascista, dopo il minuto di silenzio in ricordo delle vittime ha giurato «vendetta» e promesso che «la Francia colpirà senza pietà» chi ha ucciso i suoi figli.

Non è vero che i nemici non esistono, che non si possono fare nomi e riferimenti perché altrimenti «così si incita all'odio». Ho ancora negli occhi Rosaria Schifani, moglie di uno degli uomini di scorta di Falcone saltati in aria nell'attentato di Capaci. Nella cattedrale di Palermo, al termine dei funerali, la donna, disse all'allora premier Spadolini: «Presidente, io voglio sentire una sola parola: lo vendicheremo. Se non puoi dirmela, presidente, non voglio sentire nulla, neanche una parola».

Poi, con le ultime forze rimastele, prese il microfono e pronunciò il famoso discorso: «Io, Rosaria Costa, vedova dell'agente Vito Schifani, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato, chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro e non, ma certamente non cristiani: sappiate che anche per voi c'è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare. Ma loro non cambiano, loro non vogliono cambiare...».

Il cancro della mafia allora, quello

del terrorismo islamico oggi e dei loro amici «che sono qua dentro». Noi rispettiamo il silenzio dei genitori di Valeria, ma la pensiamo come Rosaria. Che a un funerale disse ai politici: voglio giustizia adesso o tacete.

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