Un pizzino. «Matteo, in Europa stai facendo girare le balle a tutti. Metti sale in zucca! Tuo Mario». È questo il senso di Euro-zona, la responsabilità dell'Italia, un paper di sei pagine pubblicato dalla Scuola di politica economica europea della Luiss e firmato da nove economisti (Carlo Bastasin, Lorenzo Bini Smaghi, Franco Bruni, Marcello Messori, Stefano Micossi, Franco Passacantando, Fabrizio Saccomanni e Gianni Toniolo) dei quali alcuni vicinissimi al presidente della Bce, Mario Draghi, e altri contigui a quel milieu bocconiano che ha governato Palazzo Chigi fino al 2013. In pratica, si chiede al premier Matteo Renzi di mettere ordine nei conti pubblici anche attraverso una patrimoniale se necessario altrimenti il bail-in non lo subiranno le banche, ma tutto il debito pubblico della Repubblica.
Il testo porta la data del 21 gennaio, ma in tutto questo tempo è rimasto sostanzialmente confinato su internet nelle sue due versioni (quella in inglese fa bella mostra di sé sul sito dell'università di Confindustria). L'analisi ricostruisce in breve le vicende degli ultimi quattro anni. Da quando Mario Draghi ha detto che avrebbe fatto «qualunque cosa fosse necessaria» (whatever it takes) per salvare l'euro, la Germania ha perso influenza in Europa e la Bce ha svolto un ruolo di supplenza finanziaria tramite gli acquisti di titoli di Stato che hanno creato liquidità sui mercati. Ma il Quantitative easing, prima o poi, finirà così come il ruolo di traino dell'Eurotower.Ovviamente, Berlino non ha assistito impotente a questa situazione e ora detta condizioni vessatorie perché si realizzi l'ultimo pezzo dell'Unione bancaria e finanziaria: il Fondo unico di risoluzione e la garanzia europea sui depositi. «La sfiducia nella capacità italiana di ridurre il rapporto debito/Pil scoraggia il ricorso a pratiche di condivisione dei rischi», spiegano i nove. Il piano tedesco, come già analizzato dal Giornale, è semplice: la Bundesbank chiede alle banche di liberarsi dell'eccesso di titoli di Stato in portafoglio, fissando una soglia massima, affinché l'aiuto agli istituti non si trasformi in un trasferimento di danaro a Paesi poco virtuosi. I bond sovrani di Eurolandia non devono essere più considerati privi di rischio ma dotati di un rating particolare (magari stilato da Berlino) a seconda della nazione emittente. È chiaro che se le banche li vendono o non possono comprare, collocarli diventerà più difficile e se uno Stato avesse bisogno dell'aiuto europeo, dovrà subito fare default tagliando il valore delle emissioni e riscadenziandole. Il bail-in dalle banche si trasferisce così agli Stati, cioè all'Italia.
Gli «amici di Mario» (possiamo chiamarli simpaticamente così) dicono perciò a Renzi che sta sbagliando tutto. Le leggi di Stabilità che aumentano il deficit producono «finora modesti effetti sui consumi privati, mentre gli investimenti non accennano a ripartire». Inoltre, «manca un forte segnale di ripresa dell'azione riformatrice nel risanamento dei conti pubblici»: le clausole di salvaguardia (35 miliardi) dovrebbero essere neutralizzate con tagli di spesa. Bisogna evitare che la Ue possa aprire una procedura di infrazione per deficit eccessivo, perciò il premier dovrebbe mostrare - all'occorrenza - segnali di buona volontà come le privatizzazioni «tese a ridurre l'aumento nominale del debito».
A questo va aggiunta pure la patrimoniale nel testo descritta come «interventi di natura straordinaria che riducano il profilo del bilancio pubblico». Quando la Bce non potrà più aiutare l'Italia, tutto dovrà essere in ordine o, perlomeno, sembrarlo. Anche cambiando, all'uopo, il primo inquilino di Palazzo Chigi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.