È vero, giovedì 21 e venerdì 22 gennaio 2016 Mario Draghi ha salvato la giornata sui mercati. Ma si è trattato, ancora una volta, solo di un tampone disperato e improvvisato, come è stato il «Whatever it takes» di luglio 2012 pronunciato a Londra; come lo sono state le tante altre misure straordinarie di politica economica decise dalla Bce negli anni della crisi; come lo è stata la lettera che l'allora presidente designato della Banca centrale europea, Draghi appunto, insieme a Jean Claude Trichet, inviò il 5 agosto 2011 al governo italiano. Una lettera motivata da una bufera speculativa in corso sui mercati finanziari, rispetto alla quale la Bce, come pure l'Unione europea, si trovarono del tutto impreparate e di cui non capirono nulla.Dopo quasi cinque anni da quella lettera, tanto l'Ue quanto la Bce continuano ad andare avanti per approssimazioni successive e con ipocrita mancanza di coraggio, perché la causa del malessere adesso è chiara, e si chiama Germania. Lo stesso quantitative easing, per quanto provvidenziale, oltre ad essere arrivato in ritardo, è comunque uno strumento fragile, che alla lunga può addirittura rivelarsi dannoso. Perché senza crescita in Europa la politica monetaria non riesce a trasmettersi all'economia reale e, se si inonda di liquidità il sistema e il cavallo non beve, il rischio è che quella stessa liquidità finisca nella disponibilità di banche e fondi che la utilizzano per pericolose speculazioni finanziarie.E tutto questo avviene, come lo stesso Mario Draghi ha segnalato più volte, fino alla noia, perché alle «decisioni straordinarie» di politica monetaria della Bce non si accompagnano vere riforme strutturali nei paesi dell'Eurozona. Alle azioni della banca centrale, cioè, non segue l'intendenza di tutti i governi. Non segue, soprattutto, quella che potrebbe essere la soluzione, il cambio di paradigma: la reflazione in Germania. E senza la reflazione della Germania la politica monetaria di Draghi può essere efficace nel breve periodo, ma alla fine porta al disastro.Reflazione vuol dire, per tutti i paesi in surplus, usare le risorse del surplus per finanziare la diminuzione della pressione fiscale. E con la crescita, aumentare fino ai livelli fisiologici l'inflazione. Se la Germania reflazionasse, l'Europa potrebbe essere fuori dai guai in un paio di anni.Vediamo i numeri. Nel 2014 (ultimi dati disponibili), il surplus della Germania ammontava a 220 miliardi di euro, vale a dire il 7,6% rispetto al Pil, che, sempre nel 2014, era di 2.904 miliardi. Insieme alla Germania, i maggiori surplus dell'Eurozona sono stati registrati da Olanda (10,9%), Svezia (6,8%) e Danimarca (6,3%). Guarda caso tutti paesi del nord Europa, gli unici che dalla crisi dell'euro in questi anni ci hanno guadagnato. La Germania, quindi, insieme ai suoi Stati satellite, deve rientrare, come previsto da six pack e fiscal compact, al di sotto del 6%, cosa che finora non ha fatto, e spendere il proprio surplus per cambiare finalmente il metabolismo dell'Eurozona. Dimezzare il surplus della Germania significa mettere in circolo almeno 100 miliardi di euro (3,5 punti di Pil tedesco); più di 160 miliardi se anche Olanda, Svezia e Danimarca faranno lo stesso. Il risultato sarà una spinta positiva, di almeno un punto, alla crescita di tutta l'area euro, che attualmente è ferma, come previsione per il 2016, all'1,8%. Al contrario, se la Germania non reflaziona sarà impossibile arrivare al 2% di inflazione nell'area dell'euro. La politica monetaria, dunque, da sola non basta. Ripetiamo: giovedì e venerdì Draghi ha salvato la giornata sui mercati, ma se la Germania e i suoi amici del Nord in surplus non aumentano la loro domanda interna, non solo quello che la Bce fa sarà tutto inutile, ma rischia di diventare anche controproducente.Ancora una volta, insomma, il problema dell'Europa è la Germania. E oggi come nel 2011. Se andiamo ad analizzare cronologicamente l'inizio della bufera finanziaria che ha travolto l'Europa fino a causarne addirittura l'implosione e lo sgretolamento, vediamo come tra febbraio e maggio 2011, c'era calma piatta sui mercati, che vedevano i rendimenti dei titoli decennali tedeschi stabili attorno al 3,28% e i rendimenti dei Btp italiani ugualmente stabili, tra il 4,73% e il 4,84%, con 150 punti base circa di differenza (spread). In quel contesto, alto rendimento dei Bund significava deprezzamento del loro valore e conseguente prospettiva di ricapitalizzazione per gli istituti di credito tedeschi. E questo avrebbe generato una situazione di forte tensione nel sistema finanziario in Germania, notoriamente non solidissimo e assolutamente opaco. La reazione, alla luce di quello che è successo, è stata geniale, cinica e irresponsabile al tempo stesso: la finanza privata tedesca, con l'appoggio implicito del proprio governo, ha trasferito la crisi potenziale del suo sistema bancario sui paesi più deboli dell'Eurozona. Come? Vendendo e dando indicazioni generalizzate di vendere i titoli del debito sovrano, prevalentemente greci e italiani, sul mercato secondario, al fine di aumentarne i rendimenti sul mercato primario.Molto probabilmente, la strategia tedesca, più o meno consapevole, mirava unicamente a un riequilibrio dei rendimenti, per riportare il Bund sotto il 3%. Ma, dati i tempi, l'operazione ha finito per sfuggire di mano, provocando la tempesta perfetta. Come meravigliarsi allora dell'esplosione dei nostri Cds (credit default swap), vale a dire di quegli strumenti finanziari che misurano la febbre dei rendimenti dei titoli di Stato? Proprio il 30 giugno 2011 il valore dei nostri Cds registrava 171 punti base, poi è iniziato a salire. Fino a quota 504 il 13 settembre 2011. Allo stesso modo, anche oggi è la Germania il problema dell'Eurozona. Non solo perché, come abbiamo visto, non reflaziona, ma anche perché ha imposto la sua visione miope ed egoistica pure nella riforma del sistema bancario europeo, di cui ancora una volta è l'Italia a pagare il conto più alto. Ancora una volta le banche tedesche sono sempre al centro della crisi dell'Unione europea.Così non si può andare avanti. Perché è chiaro che il problema dell'Europa è essenzialmente politico: come battere, ora come allora, l'egoistico egemonismo tedesco. Fino a quando questo problema esistenziale per l'Ue non verrà risolto, non ci sarà Bce che tenga. Draghi riuscirà a salvare, forse, ancora qualche altra giornata sui mercati. Ma la sua azione da sola nel tempo sarà sempre meno efficace e finirà per essere scontata negativamente da tutti gli operatori finanziari. Draghi non può più ballare da solo. Ma non può più neanche essere reticente e felpato nei confronti della vera causa del malessere suicida dell'Europa.
Lo ripetiamo ancora una volta: l'egoistico egemonismo tedesco. Draghi denunci tutto questo con forza. Non basteranno più i Whatever it takes e We have plenty of instruments. Oggi serve coraggio, oggi occorre dire la verità. Qui si salva l'Europa o si muore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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