Nel passato, la Chiesa si era costantemente caratterizzata per il rigore col quale sceglieva la propria dirigenza. Non diventava cardinale e, forse, neppure vescovo, tanto meno Papa, chi non possedeva una forte cultura storica e politica, oltre che teologica. Ma, recentemente, l'ultima elezione del Pontefice, sotto l'influsso del populismo dilagante, ha rotto tale tradizione. Francesco, questo gesuita - altra novità - vanitoso ed esibizionista, parla molto, ma mostra spesso di farlo a sproposito. È il caso dell'ultimo discorso, nel quale ha auspicato la distruzione delle armi di uccisione di massa, identificandole, tra l'altro piuttosto surrealmente, col respingimento degli immigrati. Egli ha prefigurato, così, la regressione del sistema internazionale al Novecento, quando la Germania di Hitler, grazie alla propria forza militare convenzionale, si era illusa di poter dominare l'Europa e il mondo; uscendone, peraltro, rovinosamente sconfitta, dopo aver fatto milioni di morti.
Ora, tutti sanno che il mondo ha goduto di un lungo periodo di pace nel Secondo dopoguerra proprio grazie agli armamenti nucleari. Con l'auspicarne la distruzione, Francesco ne ha di fatto prefigurato la regressione all'epoca in cui una potenza militare convenzionale poteva aspirare a dominare il mondo facendo ricorso alla guerra e vincendola. La sensazione della propria catastrofica vulnerabilità, che ciascuna potenza nucleare ha rispetto alla controparte in caso di un proprio atto aggressivo, e la certezza della distruzione dell'intera umanità, hanno di fatto impedito lo scoppio di una guerra nucleare e favorito la nascita di organismi internazionali per la prevenzione delle crisi. Il mondo ha goduto di un periodo di pace più lungo di quanto mai gli era accaduto nel passato.
Tutti sanno che è stato il cosiddetto «equilibrio del terrore» - cioè l'impossibilità di fare, e vincere, una guerra nucleare senza subirne i danni - a garantire la pace, non la sola buona volontà degli uomini. Singolare è che mostri di non saperlo il Papa. Che egli si esprima ad un livello morale più alto del realismo politico è nell'ordine delle cose. Ciò che non lo è, è che non se ne renda conto, continuando ad auspicare un mondo che non c'è e che non sarebbe affatto pacifico. La predicazione morale religiosa, lo dico da laico, ha anche una funzione pedagogica, quando, e se, è rivolta agli «spiriti semplici», che sono i credenti senza se e senza ma. La tradisce, però, anche e soprattutto nei confronti di questi ultimi, se perde di vista la realtà.
Che piaccia o no, anche il Papa deve fare, come sempre ha fatto storicamente, i conti col mondo come è, evitando di propagandarne uno che non c'è, che non sarebbe affatto pacifico e la cui prospettiva finirebbe immancabilmente col generare pericolose illusioni negli «uomini cosiddetti di buona volontà», dando vita a ideologie non concretabili nella realtà effettuale se non a costo della creazione di regimi dispotici. La lezione del comunismo realizzato dovrebbe pur dire qualcosa al Papa... È un fatto incontrovertibile che gli uomini non li si cambia con le prediche o con le utopie razionalistiche e religiose che siano. Essi vanno governati per quello che sono e per come si comportano. La superiorità del liberalismo su tutte le altre dottrine politiche sta tutta qui. Non si fa, né genera, illusioni, ma si attiene ai fatti. Non auspico un Papa liberale, perché non può esserlo per la dogmatica contraddizione del suo stesso ruolo, che non lo consente.
No, non ci siamo. Questo Papa, che pur piace a molti, sta danneggiando la Chiesa e compromettendone la storia.
Non dico si stia realizzando la profezia di Nostradamus - che aveva previsto «un Papa della Compagnia» (leggi un gesuita), che avrebbe distrutto la Chiesa. Ma non ne siamo neppure molto lontani.piero.ostellino@ilgiornale.it
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