Giornalisti fusi e giornalisti zerbini

Mi spiace che la gloriosa Stampa scompaia e finisca in un gruppo dentro il quale ci saranno altri giornali

Giornalisti fusi e giornalisti zerbini

La fusione fra La Stampa di Torino, la Repubblica di Roma e il Secolo XIX di Genova ha a proprio fondamento un progetto industriale. Detto grossolanamente, si prefigge, come ogni soluzione strettamente industriale, di risparmiare quattrini utilizzando le strutture di ogni giornale che si fonde in un gruppo che comprende più giornali; col sistema informativo non c'entra per niente. Se mai, un progetto industriale è in contraddizione con il sistema informativo. La riduzione del numero delle testate in circolazione che esso comporta è una diminuzione del pluralismo informativo che presiede (dovrebbe presiedere) ad ogni democrazia liberale. Personalmente, da vecchio torinese, mi spiace che la gloriosa Stampa scompaia e finisca in un gruppo dentro il quale ci saranno altri giornali. Avrei preferito sopravvivesse, così come mi auguro sopravviva il Corriere della sera - altro giornale cui sono affezionato perché vi ho passato gran parte della mia carriera giornalistica - dal quale l'attuale proprietà di riferimento, la Fiat, uscirà fra breve. Non è che la Fiat fosse quanto di meglio si potesse sognare della proprietà di un giornale. Come industria che produceva (produce) automobili, era (è) esposta ai capricci del governo di turno, o era (è) tentata di scambiare l'autonomia e l'indipendenza del suo giornale con qualche favore. Abbiamo un giornalismo miserabile, che si caratterizza per la pubblicazione, sotto dettatura (i giornali sono diventati veri e propri porta parola) delle Procure. Diventerà, finalmente, un giornalismo accettabile quando certi cronisti giudiziari la smetteranno di essere il tappetino delle Procure per ottenerne i favori (cioè le informazioni sulle sentenze che non sono in grado di procurarsi da soli). Non è decente che articoli di giornale ripetano, magari in anticipo, parola per parola il testo delle sentenze...

Non succede in altri Paesi che la cronaca giudiziaria sia portavoce delle Procure, non si vede perché mai non debba succedere in Italia...Per esperienza personale, posso dire ai colleghi che si occupano di questi argomenti di starne alla larga. Se commentano criticamente una sentenza, corrono il rischio di essere querelati da qualche magistrato «democratico» uno che fa politica con le sentenze e di dover pagare somme salate a chi si è ritenuto offeso, mentre, in realtà, aveva solo bisogno di far soldi e li fa con la complicità di qualche collega sulla base di un rapporto similmafioso io faccio un piacere a te adesso e tu ricambierai a tempo opportuno... Dico ai colleghi: quando un magistrato si dichiara «democratico», stategli alla larga, perché, sotto la maschera del democratico, si nasconde un mascalzone che non fa il suo mestiere, ma fa politica nella convinzione che il futuro (luminoso) del Paese dipenda dalla sue sentenze. Cari colleghi, non scrivete, neppure se lo sentite con i vostri orecchi che una sentenza è politica, perché è certo che sarete querelati e dovrete sborsare fior di quattrini per arricchire qualche mascalzone democratico di turno. In un Paese civile, la giustizia ha una funzione regolativa della convivenza sociale. Solo in Italia ha (anche) quella, che non le è propria, di cambiare il mondo e di migliorare gli uomini... Eppure siamo il Paese di Cesare Beccaria, la patria del diritto fin dai tempi dei romani trasformata in una sorta di Chiesa all'interno della quale vige il dogmatico principio che le sentenze non si commentano, di esse non si parla, ma si applicano... senza commento. La politica si era prefissata di riformare il sistema giudiziario.

Ma non lo ha fatto e quando un politico leggi Berlusconi - ha detto di volerlo fare, da qual momento è finito nei guai di decine di avvisi di garanzia, per non dire di sentenze da parte della magistratura cosiddetta democratica. Non sono un tifoso del Cavaliere, ma trovo ugualmente scandaloso che un politico solo perché vuole mettere le mani sul sistema giudiziario finisca nei guai come ci è finito Berlusconi. piero.ostellino@ilgiornale.it

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