Quel dubbio atroce: la Bomba su Nagasaki per punire il Papa

La città giapponese distrutta dall'atomica dopo Hiroshima era la più cattolica del Paese. E gli Alleati non amavano Pio XII

Quel dubbio atroce: la Bomba su Nagasaki per punire il Papa

Su Nagasaki resta un interrogativo gigante. Il punto esclamativo è la bomba atomica al plutonio che uccise circa 80mila persone il 9 agosto del 1945, tre giorni dopo Hiroshima. Il punto di domanda è: perché Nagasaki? Esistono delle carte ufficiali che spiegano come fosse in un elenco di città maledette. Si scartò Kyoto perché era troppo importante culturalmente. Un'altra era coperta di nubi. La bomba cadde allora «innocentemente» lì.

La tesi che espongo è un tantino diversa. Si colpì Nagasaki perché era l'unica città a maggioranza cattolica del Giappone (e peraltro Hiroshima era la seconda per numero di papalini). Gli americani vollero punire così Pio XII per non essersi schierato, almeno dopo l'8 settembre, dalla parte degli Alleati. Anzi aveva osato protestare contro la distruzione dell'abbazia di Montecassino. In Vaticano era già stato recapitato un piccolo, odioso avviso di garanzia: cinque bombe di piccolo calibro cadute nei giardini a pochi metri dalla sua abitazione, a un passo da piazza San Pietro, sfiorando l'appartamento del suo massimo collaboratore, monsignor Domenico Tardini, la sera del 5 novembre del 1943; e poi ancora il 1° marzo del 1944 (un morto).

Torniamo però a Nagasaki. Cito da Asia-news. Scrive uno storico: «Secondo il comando militare alleato, la bomba atomica era una necessità, perché non si trattava di piegare una resistenza armata, ma l'idea molto viva tra i giapponesi che Dio era dalla loro parte…. L'atomica avrebbe dovuto scalfire questa certezza perché infliggeva un colpo mortale allo shintoismo artificialmente trasformato in ideologia militarista». Invece, continua l'analista, la bomba più che il cuore della religione giapponese colpì in pieno il quartiere cattolico di Nagasaki, il più importante e numeroso centro della Chiesa in Estremo Oriente. Perirono quasi tutti. L'epicentro dell'esplosione era stata proprio la loro cattedrale che, tra l'altro, in quel momento era affollata di fedeli in coda davanti al confessionale per prepararsi alla festa dell'Assunta».

E le prove? Non ce ne sono. Salvo una: l'orrore che la ragione nutre per il caso. Da pochi mesi è scomparso il cardinal Giacomo Biffi. Un grande conoscitore delle ragioni profonde della cattiveria umana, la persona meno mistica e più credente in Dio (ma anche nell'esistenza del diavolo) che abbia incontrato. In un dialogo che ebbi con lui, quando si era già ritirato in una piccola casa sulle colline di Bologna, mi espose le sue idee. In quei giorni – era il 2008 – si stava per celebrare a Nagasaki la beatificazione, voluta da Benedetto XVI, di 188 nuovi martiri. Non erano certo i primi a essere portati sugli altari lì a Nagasaki.

Ho ritrovato le osservazioni di Biffi nella sua meravigliosa autobiografia («Memorie e digressioni di un italiano cardinale», Siena, Cantagalli, 2010). Dove scrive: «A Nagasaki fin dal secolo XVI era sorta la prima consistente comunità cattolica del Giappone. A Nagasaki il 5 febbraio 1597 avevano dato la vita per Cristo trentasei martiri (sei missionari francescani, tre gesuiti giapponesi, ventisette laici), canonizzati da Pio IX nel 1862. Quando riprende la persecuzione nel 1637 vengono uccisi addirittura trentacinquemila cristiani. Poi la giovane comunità vive, per così dire, nelle catacombe, separata dal resto della cattolicità e senza sacerdoti; ma non si estingue. Nel 1865 il padre Petitjean scopre questa “Chiesa clandestina”, che si fa da lui riconoscere dopo essersi accertata che egli è celibe, che è devoto di Maria e obbedisce al Papa di Roma; e così la vita sacramentale può riprendere regolarmente. Nel 1889 è proclamata in Giappone la piena libertà religiosa, e tutto rifiorisce. Nel 1929, di 94.096 cattolici nipponici ben 63.698 sono di Nagasaki».

Ed ecco la domanda squassante, che nella conversazione che ricordo era molto meno domanda e molto più terribile dubbio: «Possiamo ben supporre che le bombe atomiche non siano state buttate a casaccio. La domanda è quindi inevitabile: come mai per la seconda ecatombe è stata scelta, tra tutte, proprio la città del Giappone dove il cattolicesimo, oltre ad avere la storia più gloriosa, era anche più diffuso e affermato?». Io gli suggerii quell'idea della punizione contro il Papa. Non ho il diritto di dire come mi rispose. Non si accusa così alla leggera. Ma in sede storica si può scrivere un punto di domanda ciclopico. Perché? E elencare indizi. Quello dei bombardamenti su San Pietro li ho accennati. So che molti nulla sanno del doppio attacco aereo e più che altro simbolico a Pio XII. L'attribuzione di questo attacco è considerata dubbia: forse che siano state azioni dimostrative della Repubblica di Salò? La testimonianza di Tardini parla di «una squadriglia alleata (che) sorpassava il Vaticano». Il fatto poi che non se ne sappia nulla, o pochissimo, è la prova regina che non siano stati i nazi-fascisti. Non perché fossero più bravi e più rispettosi del Papa, figuriamoci.

Ma perché se ci fosse anche una sola possibilità di attribuirglielo, tu che leggi, l'avresti sentito raccontare cento volte in tivù.

Altri indizi. In quei tempi da Radio Londra si rimproverava duramente il Papa per il suo neutralismo. Poi le bombe. Poi la Bomba...

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