In una situazione bloccata da veti, politici e personali, e tatticismi esasperati, anche un uomo calmo e posato come il presidente Sergio Mattarella, si arrabbia. Ieri il capo dello Stato ha perso proprio la pazienza. Per un ex ministro della Difesa, infatti, è inconcepibile, folle e irresponsabile, non avere un governo a Roma, quando dietro l'angolo, in Siria, le superpotenze si fronteggiano con fare minaccioso e spirano venti di guerra. Così, il presidente, dopo gli appelli alla «responsabilità», ha deciso, in un modo o nell'altro, di mettere i partiti con le spalle al muro. Di indurli, con le buone e con le cattive, a diventare responsabili. Ardua impresa. Per cui tra martedì e mercoledì darà un pre-incarico o un incarico esplorativo.
Il primo, secondo la logica, potrebbe affidarlo a Matteo Salvini, cioè il candidato che nelle consultazioni ha ricevuto più consensi. Non è in ballo, invece, il nome del braccio destro del leader leghista, Giorgetti. Anzi, il capo dello Stato - a quanto pare - è rimasto contrariato quando, nella dichiarazione dopo l'incontro allo studio alla vetrata, Salvini ha vagheggiato un'ipotesi simile con la formula «sarà la Lega ad indicare il candidato premier». Il motivo è semplice. Nell'incontro il presidente aveva chiesto alla delegazione del centro-destra qual era il nome per formare il governo, ricevendo un'unica risposta: «Salvini». Per esser sicuro aveva insistito: «Ci sono altri nomi oltre a Salvini?». E i suoi interlocutori di nuovo in coro: «Solo Salvini». Per cui quella formula usata all'uscita, che poi ha preso corpo con il nome di Giorgetti nei Palazzi della politica, gli ha fatto pensare che quella candidatura non registrata sul suo taccuino degli appunti, fosse solo uno stratagemma del leader della Lega per sfuggire alle sue responsabilità. Esattamente ciò che Mattarella non vuole. Per cui, da qui a martedì, Salvini dovrà verificare se può fare un governo o «no». In pratica, deve spingere Di Maio ad accettare la presenza di Berlusconi al tavolo; o, in alternativa, convincere il leader di Forza Italia a fare un passo di lato.
Ipotesi difficile la prima e, quantomai complessa, anche la seconda. Dal network degli ortodossi dei 5stelle, da Grillo a Travaglio, continuano ad arrivare, infatti, delle bordate contro il Cav, fino all'oltraggio. Sul versante del centro-destra, invece, leghisti e Fratelli d'Italia criticano Berlusconi per quella battuta «anti-democratici» rivolta ai 5stelle davanti alle telecamere, dopo il colloquio al Quirinale; una battuta, che, invece, ha mandato in visibilio mezzo Pd: «un capolavoro», l'ha definita Ettore Rosato. Ora, sarà stato pure un fuori-programma, come dicono Salvini e la Meloni, ma il giorno prima Di Battista aveva descritto Berlusconi come «il male assoluto» e quell'«anti-democratico» non appare certo «una battutaccia», come l'ha definita Di Maio. Anzi, tutt'altro. È come se qualcuno ti offende dandoti del «maiale», e tu gli rispondi con un sobrio: «maleducato!». La verità è che si tratta solo di pretesti. Da una parte i grillini non vogliono Berlusconi al tavolo della maggioranza. Contemporaneamente, sull'altro versante, Salvini e Meloni provano a rendere la sua presenza meno ingombrante per strappare un sì a Di Maio. «Berlusconi - teorizza Ignazio La Russa - dovrebbe assumere una posizione marginale nel governo, con la garanzia che i suoi interessi saranno salvaguardati: insomma, deve fare la parte del parente povero che non mangia al tavolo dello sposo e della sposa al matrimonio». Ma può accettare un ruolo del genere un personaggio come il Cav? Uno che l'altro giorno al Quirinale ha detto a Mattarella: «Se ci fossi io al governo avrei già messo d'accordo Putin e Trump!». No, Berlusconi sarà «concavo» e «convesso», ma la parte del parente povero è estremamente difficile che possa accettare di interpretarla. Tant'è che giovedì, al vertice di Forza Italia, che ha preceduto al Colle, è stato chiaro: «Noi o siamo dentro al governo con pari dignità; o siamo fuori, all'opposizione». E ancora ieri: «Nessuno mi può dire quello che debbo fare. Né Di Maio può dire tu sì, tu no». Messa così Salvini, tra un bicchiere di rosso e uno di bianco al Vinitaly con Di Maio (si incontreranno lì), dovrà decidere e, in assenza di un'intesa, avrà tre strade davanti: accettare l'incarico lo stesso e strappare con il Cav («ma presentandosi al tavolo con i grillini - rileva Gianni Letta - in una posizione di debolezza, solo con il suo 17%»); provare a trovare una maggioranza in Parlamento; o rifiutare l'incarico.
Di fronte ad un nulla di fatto, il capo dello Stato potrebbe aumentare la sua pressione su un altro versante, quello grillino. In questo caso con un incarico esplorativo. Certo ci sarebbe il presidente del Senato, Casellati, ma il suo coinvolgimento non cambierebbe di molto le carte in tavola, potrebbe solo ratificare la fine dell'ipotesi Salvini. Semmai il coup-de-théâtre potrebbe essere quello di chiamare in causa il presidente della Camera Roberto Fico, mettendo con le spalle al muro anche lui. Fico, infatti, punto di riferimento dell'ala dura del movimento, per verificare se ci sono i margini per trovare l'intesa con l'intero centro-destra (quindi anche con il Cav); oppure se c'è una strada alternativa, magari a sinistra. Sarebbe una prova del 9.
Inoltre, se si tiene conto che la trattativa con il centrodestra si è incagliata perché Di Maio non ha voluto confrontarsi con Berlusconi (pressato proprio dall'ala ortodossa), Fico, nel suo ruolo istituzionale, non sarebbe nelle condizioni di sottrarsi al confronto con il Cav. «Un'ipotesi interessante - rileva Brunetta -: in fondo è stato eletto alla Camera anche con una parte dei voti di Forza Italia». E addirittura l'ex segretario del Pd Matteo Renzi dal suo eremo commenta: «Se Mattarella desse un incarico a Fico, anche solo esplorativo, Di Maio avrebbe un infarto».
Sarebbe un altro fuori-programma di questa crisi complicata. Un altro di quei fuori-programma che fanno impazzire i grillini e mette tutti di fronte alla responsabilità di dare un governo al Paese. «Beh, sarebbe divertente - è l'ironia di Fabio Rampelli di Fratelli d'Italia - vedere Fico che fa l'esploratore con la kefiah in testa e l'orecchino».
Bisogna vedere se il capo dello Stato vorrà percorrere questa strada. Di certo misurate le possibilità di Salvini e verificato l'atteggiamento dei grillini, di fronte ad un nulla di fatto, Mattarella, con la crisi internazionale che incombe e impedisce, di fatto, l'opzione di nuove elezioni, potrebbe a quel punto, scegliere lui stesso una personalità (il governo del presidente) per dare un governo al Paese in una situazione di emergenza. Chiamando tutti i partiti ad un gesto di «responsabilità» (la parola più in voga in queste ore al Colle). A quel punto potrebbe mandare in campo il presidente del Senato o, ancora, quello della Camera, non per esplorare ma per formare un governo (scelta da manuale). O individuare l'identikit di un terzo uomo che potrebbe trovare una maggioranza in Parlamento, come, ad esempio, un ex ministro del governo Berlusconi, Franco Frattini, che ha buoni rapporti sia con Washington, sia con Mosca. O rivolgersi a qualche manager che piace ai grillini ed è bene introdotto nel Palazzo: gira il nome di Franco Bernabè). Oppure personaggi con un pedigree istituzionale, come il conterraneo di Di Maio, l'ex presidente della Corte dei conti, Giampaolino (si sentono un giorno sì e uno no). Ma siamo alla lotteria.
«Io - spiega l'azzurra Michaela Biancofiore - vedrei bene pure Paolo Del Debbio: lavorava a Mediaset, ha la fiducia di Di Maio e piace a Salvini». Magari nella pazza Italia del 2018, qualcuno avrà suggerito anche quel nome, su al Quirinale.
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