E adesso riconosciamo pure l'Isis?

L'Iran, campione di terrorismo, presto avrà la bomba atomica. E senza le sanzioni avrà più soldi per finanziare la guerra santa

E adesso riconosciamo pure l'Isis?

L'Iran l'ha promessa la bomba atomica, e l'avrà. L'accordo firmato ieri è un'elegante beffa gestita con pazienza e capacità («abbiamo trattato a lungo», ha detto il capo delegazione iraniano Zarif, «e siamo riusciti ad affascinare l'Occidente»): le ispezioni programmate con un mese d'anticipo e rifiutabili da una commissione sono uno scherzo; dieci o quindici anni di tempo ridicoli rispetto alla possibilità successiva di armare la bomba atomica sotto gli occhi di tutti; l'apertura al mercato delle armi in cinque anni estesa ad otto per i missili balistici; la diluizione dell'uranio già arricchito e il basso arricchimento sono assurdi quando si resta in possesso di 6000 centrifughe e degli impianti «sperimentali» e «medici» che possono essere trasformati. L'Iran era in grado di mettere in funzione una bomba atomica in due mesi; adesso gli ci vorrebbe un anno. In sostanza, è evidente che quello che deve giocare qui è la fiducia fra le parti, l'idea che l'Iran voglia davvero fermare la corsa al nucleare. Ma l'Iran vuole solo che entrino nelle sue casse i 1500 miliardi di dollari delle sanzioni che, nel giro di un anno, andranno a rimpinguare le casse che finanziano gli hezbollah, per occupare il Libano e difendere Assad, gli Houti che si sono impossessati dello Yemen, le Guardie della Rivoluzione di stanza in Irak. Serviranno anche a finanziare le imprese terroristiche in cui l'Iran è campione in tutto il mondo e a rafforzare i Basiji, la milizia che tiene il suo piede su un Paese sofferente non solo per la miseria.

La legge shariatica prevede l'impiccagione degli omosessuali, nelle campagne ancora si incontra la lapidazione, nei tribunali la donna vale metà; si chiudono i giornali e i giornalisti vanno in galera. Ma come si fa, come fa Obama a fidarsi di un trattato con un Paese che per vent'anni ha trattato tirando in lungo per seguitare ad arricchire l'uranio mentre illudeva l'interlocutore che l'accordo fosse dietro l'angolo? Durante le trattative dell'EU3 (Inghilterra, Francia e Germania) a Teheran nel 2004, il presidente Rouhani, allora capo dei negoziatori, disse ai giornalisti iraniani, rivendicando il ruolo di costruttore del nucleare: «Con i colloqui siamo riusciti ad accaparrarci il tempo necessario per completare il lavoro a Isfahan, una centrale importante».

Così il mondo fu costretto a capire che l'equazione era del tutto cambiata. Rouhani portò il numero delle centrifughe da 164 a 1500, ora restiamo con le seimila della trattativa. E l'Iran, lentamente perché doveva pagare un pedaggio per le sanzioni, può seguitare a guadagnare tempo nella sua marcia verso il nucleare, l'egemonia sciita nel mondo islamico, l'egemonia islamica nel mondo occidentale.

Senza peli sulla lingua: allora tanto vale cercare anche un accordo con l'Isis, perché no? Chiediamogli di presentarsi con educazione a Vienna e trattiamo: non dovranno rinunciare né alla sharia né alla guerra per il Califfato, ma per dieci anni lascino terrorismo e taglio delle teste; in cambio, stabiliremo un'ambasciata a Raqqa e consentiremo grandi transazioni economiche petrolifere, commerciando anche in reperti archeologici... I barbuti col turbante, pure selvaggi, tuttavia non sono meno determinati a imporre sul mondo l'egemonia islamica, solo la guardano dal punto di vista sunnita, e non sciita. Noi europei e gli americani («occidentali» è parola ormai senza senso) non ascoltiamo mai perché siamo poco seri: se malediciamo qualcuno, se lo minacciamo di morte domani cambieremo idea, qualcuno ci vedrà presto a braccetto col nostro nemico a prendere un caffè. Inoltre, noi non ricordiamo la nostra storia: non sappiamo più molto, noi europei, delle guerre che ci hanno contrapposto, del desiderio di divorarci che ha posseduto a turno i nostri Paesi finché la Germania ci ha battuto tutti col nazismo, non ricordiamo altro che il recente desiderio di pace, seppelliamo sotto la sabbia l'odio e il rancore per comodità e per superficialità. L'islam non è come noi, ricorda e sa: l'Iran sa la storia sciita e, prima ancora, quella dell'impero Persiano.

Solo tre giorni fa, subito prima dell'accordo col P5+1, una enorme piazza gridava, con la guida suprema Khamenei, «Morte all'America» e «distruggeremo Israele». Quell'urlo di piazza deve essere inteso in forma estesa, include anche noi, ed è serio. Quando Khomeini, il grande ayatollah esiliato a Parigi, tornò in patria nel 1979 a fare la rivoluzione, gli chiesero cosa sentiva tornando in Iran. Rispose «Niente». Era vero: non era l'Iran che gli interessava, ma la grande rivoluzione islamico-sciita che avrebbe portato, come ha spiegato più volte, in tutto il mondo. Questa grande guerra avrebbe portato il Mahdi a salvare la Terra, sarebbe giunta la fine dei tempi e la redenzione, come pensa lo shiita credente. Con l'Iran, proprio come con l'Isis, non si cerca di evitare il «Mad», Mutual Assured Distruction che la Guerra Fredda gestì fra Russia e America evitando che ci ammazzassimo tutti.

Al contrario, per far giungere il mahdi, e Ahmadinejad furioso antisemita e antiamericano lo ripetè anche all'Onu, bisogna creare il caos, non lo si deve evitare. La nuclearizzazione è l'arma migliore per farsi padrone di Gog e Magog, e per questo l'Iran l'ha scelta.

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